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Immunoterapia

L’Ospedale Bambino Gesù mette a punto un protocollo per bloccare gli effetti collaterali della terapia, mentre l’Humanitas crea un team multidisciplinare per la valutazione dei pazienti da inserire nei programmi di trattamento.

Da mesi non si fa che parlare d’altro: le terapie CAR-T costituiscono al di fuori di ogni dubbio uno dei traguardi medici più importanti del nuovo secolo. Nella battaglia contro i tumori. Ai loro successi - e anche ai loro limiti - sono stati dedicati centinaia di lavori tra articoli, saggi e pamphlet ma finalmente le terapie che trovano in Kymriah (Novartis) e Yescarta (Gilead) i due più celebri protagonisti di questa pagina della medicina entrano nelle stanze degli ospedali. E lo fanno con due fatti esemplificativi: l’attivazione di un’unità speciale presso il centro Humanitas di Rozzano per la gestione dell’intero percorso clinico dei pazienti e la sperimentazione presso l’Ospedale Bambino Gesù di un protocollo per ridurre gli effetti collaterali della terapia.

Rendere le CAR-T sempre più sicure

Partiamo proprio da quest’ultima notizia che, da qualche giorno, sta facendo il giro di tutti i telegiornali. Le terapie a base di CAR-T prevedono, infatti, un prelievo di linfociti del paziente che vengono ingegnerizzati per esprimere il recettore chimerico CAR grazie al quale possono riconoscere e, di conseguenza eliminare, le cellule tumorali. Tuttavia, in certi casi, esse possono innescare una potente reazione infiammatoria, caratterizzata da febbre alta, cali di pressione e disfunzioni d’organo, nota come sindrome da rilascio delle citochine. In queste situazioni i protocolli medici richiedono la somministrazione di farmaci anti-infiammatori i quali, purtroppo, non sempre hanno successo nel controllo della reazione. Tuttavia, in un case report pubblicato sulla rivista Critical Care Explorations e firmato dalla dott.ssa Gabriella Bottari, dell’Unità di Terapia Intensiva Pediatrica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, è stato descritto il caso di un ragazzo di 14 anni, affetto da leucemia linfoblastica acuta, precedentemente sottoposto a terapia con le cellule CAR-T e incorso in una sindrome da rilascio delle citochine di grado 4.

Nell’articolo si legge come il pericoloso effetto collaterale si sia manifestato circa sette giorni dopo l’infusione delle cellule CAR-T con una progressiva e importante crisi respiratoria. Giunto all’Unità di Terapia Intensiva Pediatrica in una condizione di insufficienza respiratoria tale da richiedere l’applicazione di procedure di respirazione artificiale, è stato sottoposto ai primi esami che hanno escluso una causa batterica finendo col far propendere per un’origine infiammatoria. Pertanto gli specialisti hanno optato per una purificazione del sangue dalle citochine responsabili del grave effetto collaterale: al paziente è stata praticata una emoperfusione extracorporea, cioè una sorta di procedura di filtrazione del sangue che viene fatto passare attraverso una colonna di assorbimento per poi tornare all’interno del corpo. Durante tale processo le citochine rimangono intrappolate nella resina assorbente delle colonne (sviluppiate dall’azienda Cytosorb) e vengono pertanto rimosse dal circolo sanguigno. Nel corso delle prime 96 ore di questo trattamento, unico al mondo, i ricercatori hanno osservato un drastico calo di livelli di ferritina e soprattutto delle citochine (specialmente l’interleuchina-6) con un recupero del rapporto tra la tensione arteriosa dell’ossigeno (PaO2) e la frazione di ossigeno nell’aria inspirata (FiO2) a testimonianza del superamento della crisi respiratoria. Dopo 19 giorni il ragazzo è stato dimesso dal reparto.

La sinergia tra la tecnica di emoperfusione extra-corporea con colonna ad adsorbimento e la somministrazione di Tocilizumab, un anticorpo monoclonale che inibisce l’interleuchina-6, ha prodotto, per la prima volta, lo straordinario risultato descritto dalla dott.ssa Bottari consentendo il controllo di un effetto collaterale potenzialmente letale di una terapia estremamente promettente. Va ricordato che la forma di leucemia di cui era affetto il ragazzo era resistente al trattamento tanto che neppure i cicli di chemioterapia e la terapia immunoterapica con inotuzumab e blinatumomab erano riusciti a scalfirla.

Un approccio multidisciplinare

Se il lavoro della dott.ssa Bottari e dei suoi colleghi - tra i quali figura il prof. Franco Locatelli, uno dei maggiori esperti di CAR-T in Italia - fornisce una solida base per contrastare eventuali effetti collaterali che insorgano dopo la terapia, all’Humanitas di Rozzano si lavora anche su un altro importante fronte: la formazione di un’unità speciale dedicata esclusivamente alle CAR-T, la cui delicata gestione (dalla selezione dei pazienti al follow-up) deve essere necessariamente affidata a un team multidisciplinare.

Attivo presso il Cancer Center dell’ospedale lombardo (uno dei pochi centri in cui sono erogabili le terapie a base di CAR-T per la cura della leucemia linfoblastica acuta e del linfoma diffuso a grandi cellule B, entrambi recidivanti o refrattari al trattamento) il gruppo comprende non solo gli ematologi, esperti in trapianto di cellule staminali, ma anche due team di infermieri professionali, di cui uno esperto in aferesi (la tecnica di estrazione dei componenti cellulari e solubili del sangue) e uno dedicato esclusivamente alla gestione del paziente, i neurologi, gli infettivologi e gli anestesisti. Figure necessarie per l’adeguato funzionamento dell’Unità il cui obiettivo è favorire l’ottimale implementazione di una terapia all’avanguardia presso un centro di eccellenza specializzato nella presa in carico di pazienti con linfoma. “Dall’apertura di Humanitas ad oggi, abbiamo trattato quasi 4.000 pazienti con linfoma”, afferma Armando Santoro, Direttore Cancer Center di Humanitas. “Nell’ultimo anno il numero dei trapianti è cresciuto, nel 2019 ne sono stati effettuati 140, e il numero degli studi su questa patologia realizzati negli ultimi anni è superiore a 60”. Le CAR-T offrono una prospettiva di guarigione a una consistente fetta di pazienti ma non tutti sono candidabili alla terapia e non in tutti ha successo. “È dunque molto importante che la selezione dei pazienti venga eseguita tenendo conto del corretto rapporto rischio/beneficio per ciascuno ed è fondamentale affidarsi a Centri specializzati per potenziare al massimo l’uso corretto di questa innovativa risorsa”, prosegue Santoro. Inoltre, in alcuni pazienti - come il bambino di Roma - occorre fronteggiare l’insorgenza di effetti collaterali anche più pericolosi della malattia. Tutto ciò rende necessario un approccio multidisciplinare con un ventaglio di competenze e professionalità estese a tutti gli ambiti toccati dal trattamento.

E mentre il loro utilizzo si fa sempre più consolidato su alcune forme di leucemia e linfoma, le CAR-T stanno dando risultati importanti anche contro il mieloma multiplo o alcuni tumori solidi. “La speranza è riuscire a portare in una fase più precoce questo trattamento e allargare le patologie che potrebbero beneficiarne”, conclude Santoro. “In Humanitas è già attivo un protocollo sperimentale (lo studio clinico Belinda) che confronta le CAR-T con la terapia classica con trapianto di midollo autologo nei linfomi aggressivi in prima ricaduta o refrattari”.

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