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Neurotossicità, CAR-T:

I risultati di uno studio pubblicato su Nature indicano nella riattivazione di un virus la causa di effetti avversi neurotossici legati al trattamento con CAR-T 

Lo scorso anno sulla rivista The New England Journal of Medicine è stato pubblicato il caso di una paziente di 49 anni, trattata con terapie a base di cellule CAR-T in seguito alla comparsa di un linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) e poi colpita da una severa forma di disorientamento. Nessun trauma, né crisi epilettica, nessuna traccia di nausea o problematiche annesse di alcun genere, ma la donna appariva confusa e incapace di parlare correttamente, scrivere o contare. Il sospetto di un’encefalopatia aveva indotto i medici a sottoporla ad accertamenti ma un’ipotesi plausibile per l’origine dei suoi problemi è contenuta in un altro articolo, pubblicato recentemente su Nature, in cui si parla della riattivazione del virus HHV-6.

Che la discussione sulle terapie a base di cellule CAR-T tocchi anche la questione sicurezza di queste innovative forme di trattamento è cosa ben nota, specialmente se si fa riferimento alla sindrome da rilascio delle citochine e agli eventi di neurotossicità. Perché, dunque, il caso di questa donna ha meritato tanta attenzione? Al di là del fatto che l’indagine di casi - rari - come questo permette di svelare arcani meccanismi collegati agli eventi avversi di queste terapie (e perciò di formulare soluzioni via via più efficaci), il professor Cale Lareau, immunologo presso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, ha concentrato l’attenzione sul ruolo di un herpesvirus - HHHV-6 - che è stato identificato come causa delle gravi problematiche della donna. La riattivazione del virus potrebbe esser stata legata alla somministrazione delle CAR-T pertanto fare luce su questo caso equivale a trovare nuovi modi per rendere più sicura la produzione di tali trattamenti.

Il virus HHV-6 (Human Herpesvirus 6) appartiene alla famiglia degli herpes virus e colpisce soprattutto i bambini. In maniera analoga ad altri rappresentanti di questa famiglia - della quale fa parte il virus della varicella - provoca un’infezione primaria e successivamente si rende responsabile di un’infezione latente: esattamente come nel caso del virus della varicella che rimane quiescente e può riaccendersi a distanza di anni, provocando la malattia nota a tutti come “Fuoco di Sant’Antonio”. L’HHV-6 possiede dunque la medesima caratteristica e, in caso di compromissione del sistema immunitario, può riattivarsi con complicanze anche piuttosto gravi. Un ultimo veloce - ma non trascurabile - particolare del virus HHV-6 è che esso si replica nei linfociti T. Secondo gli autori che hanno decritto sulle pagine di The New England Journal of Medicine il caso della quarantanovenne con encefalite da HHV-6 successivo a trattamento con CART, poco dopo i trapianti d’organo o quelli di cellule staminali ematopoietiche da donatore - quando il livello di immunosorveglianza è più basso - si possono creare le condizioni per la riattivazione del virus HHV-6. I ricercatori guidati dal prof. Lareau si sono quindi chiesti se anche il trattamento con CAR-T possa costituire un’occasione per la riattivazione del virus e, nel loro lavoro, hanno esplorato i percorsi di riattivazione della forma B del virus HHV-6 (HHV-6B), quella che è causa della cosiddetta “sesta malattia” che colpisce i bambini solitamente entro i due anni di età. 

La riattivazione del virus HHV6 nei pazienti sottoposti a CAR-T sembra essere più comune di quanto riportato nella letteratura scientifica ma quali siano i fattori tali da innescare il fenomeno non è ancora stato chiarito. Perciò Lareau e i suoi colleghi hanno fatto ricorso ad analisi di genomica mirate allo scopo di identificare quali sottopopolazioni di HHV6 si riattivino, testandole in colture di linfociti T CD4+. Poi, attraverso metodiche di sequenziamento di singole cellule, hanno trovato delle CAR-T associate a elevata espressione di HHV6, sia in coltura che in alcuni campioni biologici di pazienti: il team di Lareau ha ottenuto i campioni di RNA di svariate tipologie di pazienti - sia quelli con leucemia che con DLBCL - pre- e post-trattamento con le CAR-T disponibili in commercio e ne ha analizzato il profilo di espressione cellulare. In molti dei campioni post-trattamento è stata riscontrata la presenza di cellule HHV-6 positive, segno tangibile della riattivazione del virus.

Questo significa forse che le CAR-T sono pericolose? In un’intervista rilasciata alla rivista STAT è lo stesso Lareau a ribadire che la “conclusione di questo lavoro non deve essere di interrompere la somministrazione delle CAR-T”, le quali possono rappresentare un’opzione salvavita irrinunciabile. Tuttavia, non bisogna mai desistere dall’idea di mettere sotto esame la sicurezza di questi prodotti: nonostante l’encefalite da riattivazione di HHV6 descritta sia una complicanza rara - si parla di 8 casi documentati in letteratura scientifica - è un’eventualità che va compresa e considerata. Perché solo così sarà possibile elaborare risposte rapide ed efficaci e migliorare ulteriormente l’affidabilità delle CAR-T.

Nello specifico caso della paziente descritta, è molto difficile affermare con certezza se la riattivazione del virus sia dovuta al processo di produzione delle CAR-T o sia, invece, conseguenza del pesante stato di immunosoppressione in cui si trovava la signora, prostrata dalla malattia e dai molteplici protocolli chemioterapici precedenti alla somministrazione delle CAR-T. “Sappiamo che il processo di ingegnerizzazione delle cellule può portare a livelli virali più elevati, e li rileviamo in vivo mediante approcci genomici”, prosegue Lareau, ricordando comunque come nei pazienti affetti da queste forme di cancro, molti fattori influiscano sul delicato equilibrio del sistema immunitario: il prelievo di un manipolo di cellule dal loro contesto naturale, la modifica in coltura e la successiva somministrazione a pazienti fortemente trattati potrebbero costituire una spiegazione ma si tratta pur sempre di un’ipotesi. Ciononostante, se nelle procedure di preparazione delle CAR-T fosse presente un fattore in grado di innescare la riaccensione del virus, occorrerebbe scovarlo ed elaborare modalità alternative di produzione per poterlo escludere. Questo significa rendere le terapie a base di CAR-T più sicure e accessibili a tutti.

Leggendo il caso clinico riportato sulle pagine di The New England Journal of Medicine si può osservare che la conferma diagnostica della riattivazione del virus è giunta dopo diverse settimane dall’infusione delle CAR-T e dopo che la signora era stata già avviata a trattamento per i suoi sintomi. Tuttavia, se la risonanza magnetica a cui è stata sottoposta ha rivelato una normalizzazione delle sezioni del suo cervello - precedente oggetto di un anomalo rigonfiamento - i deficit di memoria non sono spariti. La precocità di intervento in certi casi è fondamentale ma può essere resa possibile solo dallo studio di casi clinici peculiari - per quanto rari - che inducano nei medici il sospetto e invitino a continue ottimizzazioni dei processi di produzione dei farmaci somministrati.

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