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Organoide cerebrale, malattie neurodegenerative

Il dott. Alessandro Fiorenzano è tra i pionieri nella generazione di organoidi cerebrali a partire da cellule staminali pluripotenti per investigare le cause del morbo di Parkinson

Quasi un anno fa avevamo scritto del primo trapianto di cellule nervose derivate da cellule staminali a una persona affetta da Parkinson, procedura portata a termine allo Skåne University Hospital in Svezia. Questo trattamento sperimentale è stato sviluppato all’Università di Lund e ha visto coinvolto uno scienziato italiano: il dottor Alessandro Fiorenzano, attualmente ricercatore presso l’Istituto di Genetica e Biofisica Adriano Buzzati-Traverso (Consiglio Nazionale delle Ricerche, Napoli). Una carriera incentrata sulle cellule staminali, in particolare sul loro utilizzo nella ricerca di terapie cellulari e nello sviluppo di modelli per lo studio delle malattie neurodegenerative. La creazione di strutture tridimensionali, chiamati organoidi, potrebbe rappresentare una svolta agli studi in questo settore.

Dott. Fiorenzano, su cosa si focalizza la sua ricerca?

Il fulcro della mia ricerca è individuare i meccanismi, sia fisiologici che patologici, delle cellule nervose umane, con il focus principale sullo studio dello sviluppo delle cellule nervose dopaminergiche. L’obiettivo è quello di migliorare le conoscenze sulle malattie neurodegenerative come la malattia di Parkinson, già oggetto di recenti sperimentazioni precliniche e cliniche nell’ambito delle terapie cellulari in Svezia. Stiamo anche provando ad applicare lo stesso approccio allo studio di malattie genetiche rare che colpiscono il sistema nervoso centrale e all’autismo, il cui studio è però più recente.

Le malattie neurodegenerative, in particolare il Parkinson, sono attualmente di grande rilevanza a causa della mancanza di soluzioni terapeutiche definitive e dell'incremento dei casi nell’ultimo decennio. L'obiettivo è comprendere a fondo i meccanismi molecolari sottostanti a queste patologie e intervenire direttamente sulle cellule dei pazienti, offrendo così un approccio valido e potenzialmente capace di tradursi in risultati concreti.

Che cosa si può fare in questo senso con gli organoidi?

Gli organoidi cerebrali, modelli cellulari tridimensionali, permettono lo studio preciso di disfunzioni e situazioni patologiche. Attualmente, è possibile prelevare un piccolo campione di tessuto dal paziente, come pelle o sangue, e riprogrammare le cellule per ottenere staminali pluripotenti indotte. Da queste, è possibile poi generare organoidi, il che significa che per ogni paziente con malattie neurologiche, si può avere un modello cerebrale specifico per studiare in laboratorio le disfunzioni legate al suo caso. Si tratta di una forma di medicina personalizzata e di precisione, un approccio rivoluzionario alla ricerca e alla terapia.

Gli organoidi rappresentano un passo avanti rispetto alle colture di cellule in due dimensioni e alle linee cellulari immortalizzate (come le HeLa), da sempre molto usate in laboratorio. Quali sono le caratteristiche che li hanno portati a essere un modello di studio così rivoluzionario?

La tecnologia brain organoid offre la possibilità di studiare i meccanismi molecolari alla base dello sviluppo e del funzionamento delle strutture del nostro cervello in condizioni fisiologicamente più rilevanti. Gli organoidi, essendo organizzati in strutture tridimensionali, ricapitolano con maggiore precisione l’architettura, la composizione cellulare e la funzione dei tessuti del cervello umano rispetto alle colture in vitro in due dimensioni. Questi modelli costituiscono un passo avanti nella ricerca perché consentono analisi molecolari dirette su cellule umane, offrendo risposte mirate e aprendo prospettive per accelerare lo sviluppo di nuove terapie per le malattie che colpiscono il cervello.

Sebbene i modelli animali abbiano svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo della conoscenza biologica e gli studi clinici si basino ancora su dati da essi derivati, è essenziale riconoscere che lo studio del cervello nei roditori presenta limitazioni intrinseche. Nonostante l’attuale necessità di una fase di sperimentazione con modelli animali, si sta lavorando attivamente per sviluppare modelli alternativi. L’obiettivo è andare verso una fase di “human biology”, che possa soddisfare la crescente necessità di modelli di studio basati direttamente su cellule umane.

Nello specifico, quali sono le caratteristiche degli organoidi che create in laboratorio?

Gli organoidi che generiamo in laboratorio, pur mostrando una certa variabilità in base al tessuto cerebrale generato, raggiungono dimensioni di 3-4 millimetri, diventando visibili a occhio nudo e dimostrando proprietà funzionali. Siamo in grado di elettrostimolarli, esaminare le loro caratteristiche e risposte agli stimoli grazie alla loro attività elettrofisiologica. All'interno dell'organoide, le cellule sono organizzate in strutture e formano strati, seguendo un modello simile alla formazione naturale di tessuti nell'organismo. Questa organizzazione cellulare non è casuale, ma strutturata, grazie a una capacità delle cellule staminali chiamata "self-organization". In breve, sembrano comunicare tra di loro e costruire citoarchitetture specifiche in sintonia con le cellule circostanti. Questa caratteristica rende gli organoidi uno strumento potente per la generazione in laboratorio di tessuti cerebrali maturi e funzionali.

Nel contesto specifico dei neuroni dopaminergici, queste cellule derivano dal mesencefalo, una regione del nostro cervello che comprende la substantia nigra, così chiamata per la presenza di neuromelanina che conferisce ai neuroni una colorazione scura, rilasciata a partire dal primo anno di età. Gli organoidi mesencefalici, prodotti nel mio laboratorio, rilasciano anch'essi neuromelanina, ricreando così uno degli ultimi eventi molecolari dello sviluppo dei neuroni dopaminergici umani. Sono quindi strutture funzionali a tutti gli effetti, con neuroni maturi e attivi.

Qual è l’obiettivo a cui ambite?

L'obiettivo della nostra ricerca è di svelare la complessità del cervello umano comprendendone il suo sviluppo, i meccanismi di regolazione ed il suo funzionamento. Vogliamo esplorare la relazione causale paziente-specifica tra il fenotipo della malattia e la disfunzione molecolare. La speranza è che, in futuro, non si debbano più applicare terapie standard a tutti i pazienti indiscriminatamente. Invece, ci auguriamo che si evolva verso trattamenti sempre più personalizzati, modellati sulle caratteristiche patologiche del paziente e sulla manifestazione della malattia in quello specifico caso.

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