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diabete, autotrapianto, insule pancreatiche

La procedura sperimentale, condotta in Cina su una donna affetta da diabete di tipo I, è basata sul  trapianto di cellule staminali riprogrammate appartenenti alla paziente stessa 

Diversamente dalle malattie rare, che come tali sono anche poco conosciute, il diabete riguarda in tutto il mondo circa 600 milioni di persone - molte delle quali sono bambini - e, secondo i calcoli della International Diabetes Federation (IDF), entro i prossimi anni la curva di prevalenza di questa malattia è destinata a crescere ancora. Considerato anche il legame con lo stile di vita (l’obesità e la sedentarietà sono fattori di rischio) c’è grande attenzione rivolta alle nuove forme di trattamento in arrivo per questa malattia e, ovviamente, anche a quelle in fase di sperimentazione. In particolare, si cercano nuove soluzioni per il diabete di tipo I, quello scatenato da una risposta autoimmune diretta contro le insule pancreatiche dove è sintetizzata l’insulina. Tra le ultime spicca la terapia cellulare descritta qualche settimana fa sulla prestigiosa rivista scientifica Cell.

Pubblicato da un gruppo di ricercatori del Research Institute of Transplant Medicine dell’Università di Nankai in collaborazione con i colleghi della Peking University di Pechino, l’articolo descrive il caso di una giovane donna di 25 anni affetta da diabete di tipo I (quello scatenato da una risposta autoimmune diretta contro le insule pancreatiche dove è sintetizzata l’insulina), trattata con successo grazie a un autotrapianto di cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) ottenute a partire dalle sue stesse cellule. Gli autori affermano che si tratta del primo caso al mondo.

Dal 1989 - anno in cui è stato effettuato per la prima volta in Italia - il trapianto di insule pancreatiche ha cambiato l’approccio terapeutico di un sottogruppo di pazienti con diabete di tipo I che, grazie a questa strategia terapeutica, possono liberarsi dalla schiavitù dei periodici controlli della glicemia e, soprattutto, delle continue iniezioni di insulina. Il trapianto di insule pancreatiche prevede la processazione del pancreas ottenuto da un donatore deceduto (particolare da tener bene a mente) e l’estrazione delle insule, cioè delle cellule che vengono poi purificate e infuse nel paziente diabetico. Grazie a questa complessa procedura coloro che sono affetti da diabete di tipo I riescono a smettere l’utilizzo dell’insulina - pur dovendo assumere una terapia immunosoppressiva dal momento che, di fatto, si tratta pur sempre di un trapianto da donatore.

E allora in cosa si differenzia la ricerca svolta dal team cinese? Innanzitutto, si tratta di un autotrapianto, cioè una procedura in cui le cellule staminali sono state ricavate dalla paziente stessa (e, quindi, non da un donatore), in secondo luogo queste cellule sono state riprogrammate geneticamente e differenziate in cellule che producono insulina. Tali cellule sono riuscite ad aggregarsi e formare degli “isolotti” simili alle insule pancreatiche che i ricercatori hanno poi iniettato nell’addome della giovane donna diabetica. Trattandosi di un’infusione di cellule prodotte a partire dalla paziente medesima non sarebbe necessario abbinare all’intervento una terapia immunosoppressiva e ciò spiega in parte il clamore creatosi intorno alla tecnica sperimentata nel cuore della Cina. Tuttavia, il condizionale è d’obbligo dal momento che la donna dell’articolo pubblicato su Cell era in terapia immunosoppressiva per un precedente trapianto di fegato, di conseguenza non si può sapere con certezza se le cellule autologhe sarebbero state rigettate. Anche se questo è l’auspicio dei medici e dei ricercatori che, nel frattempo, continueranno a esaminare nel dettaglio la questione.

Poco più di un paio di mesi dopo l’autotrapianto la donna ha smesso di essere dipendente dalle iniezioni di insulina e, gradualmente, gli intervalli glicemici si sono normalizzati, come pure i valori di emoglobina glicosilata. I ricercatori cinesi hanno fatto sapere che a un anno di distanza dall’intervento la donna consuma zuccheri liberamente con un livello di glucosio nel sangue che rimane nella norma, inoltre, non sono emerse problematiche legate alla procedura.

Alcune precisazioni sono d’obbligo. Innanzitutto, quello condotto in Cina è uno studio di Fase I, pensato per valutare in prima battuta la sicurezza e la tollerabilità della nuova procedura. Non si tratta di un’opzione terapeutica (ancora) disponibile - come nel caso del trapianto di insule pancreatiche da donatore, che oggi viene proposto ai diabetici non più in grado di controllare il livello della glicemia attraverso le terapie tradizionali. Perciò la strada verso l’approvazione della nuova forma di trattamento si prospetta ancora lunga e dovrà necessariamente passare attraverso studi di valutazione da condurre su un numero ben maggiore di pazienti. Inoltre, dovrà esser possibile valutare con certezza se l’autotrapianto sia in grado di arginare l’attacco alle isole pancreatiche da parte del sistema immunitario, come avviene nei pazienti con diabete di tipo 1.

Nel frattempo però la ricerca di nuovi promettenti trattamenti contro il diabete prosegue senza sosta. Alcune settimane fa la Commissione europea ha approvato l’insulina “a lento rilascio” per il trattamento dei pazienti adulti con diabete di tipo 2 che, in questo modo, vedono ridursi sensibilmente il numero di iniezioni da fare (una sola alla settimana è sicuramente meglio rispetto a una somministrazione quotidiana!). Grazie ai trattamenti per il diabete e l’obesità, Novo Nordisk - l’azienda che produce l’insulina a lento rilascio - ha visto schizzare in alto le sue azioni, ma non è la sola biotech impegnata su questo fronte perché Vertex Pharmaceuticals sta lavorando ad alcune soluzioni per migliorare il trapianto di cellule pancreatiche. Un sistema prevede l’infusione delle cellule nella vena porta che conduce al fegato e richiede l’ausilio della terapia immunosoppressiva. L’altro, invece, è attualmente in valutazione in uno studio di Fase I/II e prevede l’incapsulamento delle cellule in un dispositivo che può essere impiantato e le protegge dall’attacco del sistema immunitario. Questa seconda soluzione è particolarmente allettante: sono, infatti, allo studio in vari laboratori sistemi per la produzione di insule pancreatiche microincapsulate che potranno essere impiantate nell’addome dei pazienti e non necessiteranno della terapia immunosoppressiva.

Il diabete è una patologia cronica con cui devono fare i conti milioni di persone ma se tutti i filoni di studio descritti avranno modo di proseguire portando a risultati soddisfacenti, il volto futuro della malattia potrebbe cambiare e non di poco.

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