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Prometeo

Una scoperta importante che aiuta a spiegare le origini del processo di rigenerazione, sviluppo e riparazione delle cellule del tessuto epatico e che potrebbe soppiantare il ricorso al trapianto

Nel mito di Prometeo, l’eroe greco, in seguito al tentativo di sottrarre il fuoco agli Dei per donarlo agli uomini, viene incatenato da Zeus ad una rupe dove un’aquila ogni giorno gli divora il fegato, il quale però ricresceva rapidamente ogni notte. Nella mitologia si nasconde sempre qualche elemento di verità ed è chiaro che gli antichi medici greci avessero intuito come le cellule del fegato crescano in maniera più rapida di tutte le altre cellule del corpo.
Per quanto antica, questa peculiarità delle cellule epatiche non ha trovato una spiegazione medica per diverse centinaia di anni. Oggi la ricerca ha fatto chiarezza sui meccanismi di rigenerazione epatica ma rimane indiscutibile che, nel momento in cui la nostra preziosa centrale di produzione e smistamento subisce un danno, la sola possibilità di salvarla consiste nel sostituirla in maniera parziale o completa.

I trapianti di fegato, insieme a quelli di cuore e polmone, rappresentano gli interventi più frequenti, sia nell’adulto che nel bambino. Tuttavia, il futuro delle patologie epatiche potrebbe non passare più solo e necessariamente per il trapianto d’organo perché, secondo una ricerca pubblicata sulle pagine della rivista Nature Communications, l’origine della staminalità nelle cellule del fegato sembra aver trovato una risposta.

Ad affermarlo è un gruppo di scienziati inglesi e americani che ha scoperto l’esistenza di un nuovo tipo di cellula epatica staminale (definito progenitore ibrido epatobiliare, HHyP) che sarebbe in grado di formare gli epatociti e le cellule epiteliali biliari, i due principali tipi cellulari che costituiscono il tessuto del fegato. La scoperta ha dell’eccezionale perché apre i cancelli di un nuovo mondo nel quale patologie, come l’epatocarcinoma (che ancora rappresenta il 3% di tutti i nuovi casi di tumore e ha tassi di mortalità pericolosamente elevati) e le altre cause di insufficienza epatica, potrebbero essere trattate attraverso protocolli che impiegano le cellule staminali anziché il classico trapianto d’organo che, specialmente per gli individui più avanti con l’età costituisce un rischio e si accompagna a terapie immunosoppressive non sempre facili da tollerare.

La chiave di volta di questa straordinaria ricerca è una tecnica conosciuta come sequenziamento dell’RNA della singola cellula che è stata impiegata su vari componenti cellulari presenti nei fegati umani, sia fetali che adulti. Una corposa analisi utile a trovare un comune denominatore tra i fegati del feto e dell’adulto che è stato quindi caratterizzato come ‘progenitore ibrido epatobiliare’. L’aggettivo ‘ibrido’ è da riferirsi al fatto che questa cellula può originare sia gli epatociti (le cellule del fegato) che dai colangiociti (le cellule che rivestono i dotti biliari), componenti essenziali per il ripristino della massa e della funzionalità del fegato.

Uno studio più approfondito di questi progenitori ibridi epatobiliari ha permesso ai ricercatori del King’s College di Londra di notare una certa similitudine con un gruppo di cellule progenitrici del topo e, per testare questa loro ipotesi, essi hanno infuso nella capsula renale di alcuni esemplari di topo immunodeficienti i progenitori ibridi epatobiliari, osservando dopo poche settimane la crescita delle cellule e la loro differenziazione in cellule epatiche.

“Identificare un progenitore epatico umano nell’utero fornisce una visione senza precedenti e inesplorata dei veri meccanismi dello sviluppo del fegato umano”, riportano i ricercatori nelle conclusioni dello studio, aprendo di fatto un capitolo inesplorato della rigenerazione epatica. Un capitolo in cui il trapianto di queste cellule in un fegato danneggiato potrebbe essere fondamentale per avviare processi di rigenerazione o riparazione cellulare, senza dover per forza sottoporre il paziente a trapianto d’organo.

“Adesso dobbiamo lavorare rapidamente per trovare la ricetta che ci consenta di convertire le cellule staminali pluripotenti in progenitori ibridi epatobiliari in modo da poter trapiantare tali cellule in tutti i pazienti senza distinzione” - spiega il prof. Tamir Rashid, del Centro per le Cellule Staminali e la Medicina Rigenerativa presso il King’s College di Londra - “A lungo termine, lavoreremo anche per vedere se possiamo attivare i progenitori ibridi epatobiliari all'interno del corpo sfruttando l’azione di farmaci tradizionali usati per riparare i fegati malati senza trapianto di cellule o di organi”. Un obiettivo ambizioso, come quello di donare il fuoco all’umanità, ma che, a differenza di quanto avvenuto a Zeus e Prometeo, non farà venire il fegato amaro a nessuno ma sarà anzi motivo di gioia per medici e pazienti.

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