In occasione della Giornata Internazionale della Talassemia, parliamo con la professoressa Anna Cereseto, del CIBIO di Trento, della spinta alla ricerca biomedica innescata da CRISPR
Il 7% della popolazione mondiale è portatrice di una forma anomala del gene dell’emoglobina e solo meno del 20% delle persone affette riceve trasfusioni e terapia in modo appropriato. “Affrontare le disuguaglianze di salute nella comunità globale dei talassemici”: questo il tema della Giornata Internazionale della Talassemia che si è svolta l’8 maggio. Tra le possibili soluzioni in fase di studio per la gestione delle malattie ematologiche ci sono anche le terapie avanzate, in primis terapia genica ed editing genomico. “L’avvento di CRISPR ha travolto le scienze della vita e, dove prima c’era solo un DNA da modificare, ora ci sono diverse possibilità: c’è stata un’accelerazione nello sviluppo di strategie terapeutiche che fino a qualche anno fa sarebbe stata impensabile”, commenta Anna Cereseto, Direttore del Laboratorio di virologia molecolare del CIBIO – Università di Trento.
QUANDO IL GENE DELL’EMOGLOBINA È MUTATO: BETA TALASSEMIA E ANEMIA FALCIFORME
La talassemia e l’anemia falciforme sono malattie genetiche causate da una mutazione nel gene dell’emoglobina (la cui proteina corrispondente ha la funzione di trasportare l’ossigeno dal sangue a tutti i tessuti dell’organismo) e colpiscono milioni di persone in tutto il mondo, influenzandone la salute e la qualità della vita. Le forme più gravi di talassemia sono caratterizzate dall’assenza o dalla grave riduzione della produzione di catene beta e l’eccesso di catene alfa dell’emoglobina, uno squilibrio che rende necessarie regolari e periodiche trasfusioni di sangue in chi ne è affetto. L’alterazione della struttura delle catene beta porta invece alla formazione di globuli rossi anomali – a forma di falce - tipici dell’anemia falciforme. Questa malformazione ostacola il flusso sanguigno e l’ossigenazione nei capillari, provocando crisi molto dolorose e infarti nei tessuti.
Le opzioni di trattamento consistono principalmente nelle trasfusioni di sangue e nella terapia ferro-chelante, per ridurre l’eccesso di ferro causato dalle trasfusioni croniche, affiancate da terapie di gestione del dolore. Il trapianto allogenico di midollo osseo può essere risolutivo per entrambe le patologie, ma sono pochi i donatori compatibili. Per quanto riguarda l’ambito delle terapie avanzate, le malattie del sangue sono le più “facili” da affrontare ex vivo (ovvero con terapie che si applicano sulle cellule che poi vengono infuse nel paziente) e, di conseguenza, la ricerca è andata avanti più velocemente rispetto a quella su altre patologie. Risale al 2019 l’approvazione europea di betibeglogene autotemcel (beti-cel; Zynteglo, precedentemente noto come LentiGlobin), terapia genica approvata per la beta-talassemia, e al 2020 la prima paziente con anemia falciforme trattata con CRISPR negli Stati Uniti.
“Quello che stiamo vivendo non è etereo ma reale: riusciamo a fare cose che prima non potevamo fare, oppure le facevamo con tempi più lunghi e precisione più bassa. Il successo tecnico trascina tutto il resto e anche tutti gli ostacoli della terapia genica ora si stanno affrontando più velocemente. Un esempio è il problema legato al “delivery”, cioè al trasporto di questi strumenti molecolari all’interno delle cellule: da quando si è manifestata l’esigenza di trasportare CRISPR, si sono moltiplicati gli studi su questo aspetto che era già di grande interesse per la terapia genica, ma che non era mai stato affrontato con tanta enfasi”, commenta la professoressa Cereseto. “Anche gli enti regolatori sono più propensi ad approvare studi clinici basati su CRISPR, che oggi sono circa una quarantina. Incredibile se si pensa alla lentezza con cui si è evoluta la terapia genica dagli anni ’70 ad oggi e al fatto che CRISPR è stata scoperta meno di 10 anni fa. Non solo l’editing genomico, ma anche la terapia genica beneficerà del progresso portato da CRISPR”.
USARE CRISPR PER TOGLIERE IL FRENO ALLA PRODUZIONE DI EMOGLOBINA FETALE
Le aziende Vertex Pharmaceuticals e CRISPR Therapeutics hanno utilizzato una tecnica indiretta che agisce sul sito di legame del fattore di trascrizione BCL11A per alterare l’espressione del gene della globina. CTX001 è una terapia innovativa basata sul sistema CRISPR e fa parte delle diverse terapie avanzate in via di sviluppo clinico per il trattamento della beta-talassemia e dell’anemia falciforme grave. L’obiettivo è quello di indurre la produzione di livelli elevati di emoglobina fetale (HbF), in modo da compensare nelle persone malate la carenza della forma ‘adulta’.
Nel 2019, le due biotech hanno avviato due studi clinici internazionali con CTX001 - CLIMB-111 per la beta-talassemia e CLIMB-121 per l’anemia falciforme (di cui abbiamo parlato anche qui e qui). L’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha riconosciuto un interesse prioritario per lo sviluppo di CTX001 per anemia falciforme e beta-talassemia, concedendogli la designazione PRIME (PRIority MEdicines).
GRAPHITE BIO: UN’ALTRA BIOTECH CHE METTE CRISPR AL SERVIZIO DELLE EMOGLOBINOPATIE
Di recente è stata annunciata la nascita di Graphite Bio, azienda attiva nel campo dell’editing genomico applicato ad anemia falciforme e beta-talassemia (di cui abbiamo parlato qui). L’obiettivo per l’anemia falciforme è quello di cambiare una lettera nel gene HBB: modificando una T (tirosina) in una A (adenina) le cellule ematopoietiche possono produrre una forma corretta di emoglobina. Parlando di percentuali, la correzione avviene nel 60-80% delle cellule che, se selezionate in vitro, possono arrivare al 100% e, in un futuro non ancora definito, essere usate per i trapianti. Ovviamente, prima di pensare all’applicazione clinica si dovrà passare dagli studi clinici: in questo caso dovrebbe partire un trial di Fase I/II entro il 2021.
Per quanto riguarda la beta-talassemia, in cui il problema è collegato allo squilibrio tra le catene alfa e beta dell’emoglobina, la strategia che vorrebbero sperimentare in un trial clinico prevede la ricombinazione omologa per inserire il gene della componente beta sotto il controllo dei regolatori della componente alfa, di cui viene eliminato uno dei due alleli. L’efficacia è circa del 50%, ma la strada verso l’applicazione clinica è ancora lunga.
CRISPR: UNO STUDIO INNOVATIVO SUL BASE EDITING APRE NUOVI SCENARI
Lo studio, condotto da un gruppo di ricerca di Beam Therapeutics e pubblicato a fine aprile su The CRISPR Journal, ha come protagonista l’anemia falciforme e ha un approccio diverso rispetto a quello messo in pratica da CRISPR Therapeutics e Vertex Pharmaceuticals. Lo studio è stato pubblicato assieme ad un commento di Anna Cereseto, Thomas J. Cradick (Excision Therapeutics, Cambridge) e Kevin Davies (Executive Editor, The CRISPR Journal).
In prima battuta CRISPR è nata come un’attività nucleasica, riferendosi al meccanismo con cui taglia la doppia elica del DNA che viene poi riparata dai naturali meccanismi della cellula. È seguita una seconda fase di ricerca e sviluppo, che ha visto questi doppi tagli del DNA come fonte di danno genetico e stress cellulare in grado di causare anche la morte cellulare. Partendo da questa considerazione, i ricercatori hanno iniziato a cercare soluzioni che permettessero la riscrittura del DNA, senza però tagliare la doppia elica. I sistemi sono basati sempre sulla tecnica di editing genomico premiata con il Nobel nel 2020, a cui però vengono associati diversi enzimi. CRISPR fa da “taxi” e porta degli enzimi che servono a modificare la sequenza di nucleotidi nel punto corretto. I sistemi attualmente conosciuti sono due e sono stati entrambi ideati da uno dei “papà” di CRISPR, David Liu del Broad Institute of Harvard and MIT: il base editing, già utilizzato in alcune terapie sperimentali, e il prime editing, tecnologia più recente e ancora poco utilizzata (di cui abbiamo parlato qui).
“Grazie al base editing gli enzimi associati a CRISPR, chiamate deaminasi, stimolano la cellula a modificare i nucleotidi. Nel fare questo non sono però accuratissimi: non si tratta infatti di un intervento puntiforme, ma lavorano su un segmento di DNA, hanno cioè una finestra di azione che è limitata ma non precisa al singolo nucleotide”, prosegue Cereseto. “Ad esempio, potremmo voler cambiare una A in G (guanina), ma se ci sono 5 A vicine il sistema rischia di modificarle tutte 5. A volte queste modifiche extra sono accettabili perché il cambiamento rimane silente, altre volte non è accettabile perché, pur riparando la mutazione target, se ne introducono altre (le cosiddette mutazioni off-target)”.
Per ovviare il problema, lo studio recentemente pubblicato ha preso in considerazione le malattie del sangue e ha trovato il modo di aumentare la flessibilità di intervento. “I ricercatori hanno preso in considerazione una mutazione su cui non era possibile agire utilizzando il base editor in versione standard e dimostrato che con i cosiddetti ‘Inlaid Base Editors’ (IBEs) è possibile intervenire su mutazioni su cui altrimenti non si riuscirebbe ad agire. La macchina molecolare che va a modificare il DNA non è più vincolata a un punto solo, ma si può assemblare in punti diversi, riuscendo ad ampliare la finestra di azione del sistema di editing”, spiega la professoressa.
Questa nuova modalità di intervento, analizzata nello studio clinico BEAM-2, permette di correggere la mutazione puntiforme dell’emoglobina falciforme direttamente sul DNA, consentendo la conversione dell’allele difettoso nella variante benigna HbG-Makassar. La variante Makassar ha la stessa funzione dell’allele sano dell’emoglobina e non causa l’anemia falciforme. I risultati mostrano un’efficienza di correzione di oltre il 70% nelle cellule CD34+ negli individui con tratto falciforme (HbAS) e con malattia falciforme (HbSS). Inoltre, la tecnica ha dimostrato una riduzione significativa dell'editing “off-target”.
Pur essendo ancora presto, l’editing genomico si sta affermando come strumento utile per affrontare diverse malattie genetiche e la flessibilità di questo nuovo strumento di base editing porterà a nuove ricerche e sperimentazioni. “Se ha funzionato su questa mutazione non c’è motivo perché non funzioni anche su altre”, conclude Anna Cereseto. “Loro hanno preso l’anemia falciforme come esempio proprio perché era un problema non risolvibile con la tecnologia base-editing finora disponibile. Il problema di CRISPR è che non tutte le sequenze del genoma sono attaccabili perché il sistema ha bisogno di un aggancio di alcuni nucleotidi e questa combinazione di nucleotidi non si trova ovunque. Con questa nuova tecnica, pur restando questo limite, si possono raggiungere siti diversi spostando la finestra d’azione del sistema CRISPR”.
TERAPIA GENICA PER ANEMIA E TALASSEMIA: BETI-CEL SOSPESA, MA LA RICERCA CONTINUA (ANCHE IN ITALIA)
Bluebird bio ha in programma diverse terapie geniche per le emoglobinopatie: in questo caso la tecnica si basa sull’utilizzo di un virus ingegnerizzato per fornire una copia “sana” del gene difettoso alle cellule ematopoietiche dei pazienti. La terapia genica beti-cel ha ricevuto l’autorizzazione condizionata alla commercializzazione in Europa nel 2019 per il trattamento di pazienti di età pari o superiore a 12 anni con beta-talassemia trasfusione-dipendente (TDT) con genotipo non β0/β0, per i quali il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (CSE) è appropriato ma non è disponibile un donatore familiare di CSE con antigene leucocitario (HLA) compatibile. La terapia, “one shot” e che mira direttamente alla causa genetica della TDT, permetterebbe ai pazienti di diventare indipendenti dalle trasfusioni, confidando che la condizione sia mantenuta nel tempo.
A febbraio 2021 l’Agenzia Europea dei Medicinali ha avviato una revisione sulla sicurezza dopo che bluebird bio ha notificato all’ente regolatore che una terapia sperimentale basata sulla stessa tecnologia di beti-cel e non ancora approvata, chiamata LentiGlobin per anemia falciforme (bb1111), potrebbe essere associata a un caso di leucemia mieloide acuta e a due di sindrome mielodisplastica. Anche se nessun caso di cancro è stato collegato direttamente con beti-cel, l'azienda ne ha sospeso comunque la commercializzazione mentre i dati vengono esaminati. L’obiettivo ora è quello di ottenere la rimozione della sospensione degli studi clinici HGB-206 (Fase I/II) e HGB-210 (Fase III) per l’anemia falciforme e Northstar-2 (HGB-207, Fase III) e Northstar-3 (HGB-12, Fase III) per la beta-talassemia.
La Germania è stato il primo Paese europeo a rendere questa terapia disponibile ai pazienti talassemici, ma ad aprile 2021 l’azienda produttrice ha annunciato il ritiro dal mercato tedesco per problemi legati alla negoziazione del rimborso. In Italia era in corso il processo di negoziazione con l’Agenzia Italiana del Farmaco, anch’esso sospeso fino a che il Comitato per la valutazione dei rischi per la farmacovigilanza (PRAC) non avrà esaminato in dettaglio le evidenze sugli effetti collaterali segnalati per bb1111.
Per la beta-talassemia, anche nel nostro Paese si fa ricerca all’avanguardia: all’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica di Milano è stata messa a punto una tecnica simile a quella sperimentata con successo per il trattamento dell’ADA-SCID, della sindrome di Wiskott-Aldrich e della leucodistrofia metacromatica. Nel 2015 è partito uno studio clinico di Fase I/II i cui risultati sono stati pubblicati su Nature Medicine nel 2019 (ne abbiamo parlato qui).