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Pierluigi Paracchi

La nuova promettente arma si basa sulla combinazione di terapia genica e immunoterapia, avviati due studi clinici di Fase I/II. Le prime due indicazioni in studio: glioblastoma multiforme e mieloma multiplo con ricaduta precoce.

Non solo malattie rare. Una nuova terapia genica interamente “Made in Italy” e basata sul principio dell’immunoterapia, potrebbe infatti rappresentare una nuova e promettente arma contro i tumori. Il prodotto si chiama Temferon e il suo sviluppo è stato portato avanti dalla startup Genenta Science, spin-off dell'ospedale San Raffaele di Milano. La startup ha chiuso il terzo round di finanziamento, pari a 13,2 milioni di euro, per due trial clinici di fase I/II che testeranno la promettente terapia su pazienti italiani affetti da glioblastoma multiforme di nuova diagnosi e da mieloma multiplo recidivato precocemente, entro 18 mesi dalla prima linea di trattamento.

Si tratta, in pratica, di una terapia genica ex vivo, che prevede il prelievo delle cellule staminali del paziente, la loro ingegnerizzazione (tramite vettore lentivirale contenente il gene terapeutico) e la reinfusione nel paziente. “La piattaforma è simile a quella usata per il trattamento delle malattie rare – spiega Stefania Mazzoleni, Project Manager presso Genenta Science – quello che cambia è il meccanismo di regolazione che abbiamo usato per fare in modo che il gene terapeutico sia espresso solo da un tipo particolare di cellule differenziate del sistema ematopoietico. Queste cellule differenziate, sono un particolare tipo di macrofagi infiltranti il tumore, i TIE2-expressing monocytes (TEMs), che vengono richiamati spontaneamente dal tumore stesso per auto-alimentarsi, sono infatti coinvolti nel sostentamento della crescita tumorale, nei processi di neo-angiogenesi e hanno un'attività protumorale importante”.

Lo stratagemma permette di esprimere il gene terapeutico direttamente nella sede tumorale, dove esplica la sua azione con un meccanismo diretto e indiretto. I macrofagi infatti funzionano come una sorta di cavallo di Troia rilasciando l'interferone alfa – molecola già nota per i suoi effetti antitumorali – in loco. Come spiega Mazzoleni, l'interferone alfa è stato utilizzato per decenni in clinica, ma l’impiego è stato poi limitato a causa degli effetti tossici associati alla sua somministrazione sistemica. “La differenza questa volta – continua – è che noi riusciamo ad effettuare un rilascio locale, limitando quindi la tossicità. Qui l’interferone ha un effetto antitumorale sia diretto (antiproliferativo e antiangiogenico) che indiretto, come hanno dimostrato gli studi preclinici da noi condotti”.

L’aspetto più innovativo è l’effetto indiretto – immunoterapico – che l’interferone esplica sul sistema immunitario, che viene in pratica resettato e riprogrammato in modo da riconoscere nuovamente le cellule tumorali. Quando insorge un tumore infatti il sistema immunitario non è più in grado di riconoscere le cellule tumorali come estranee ed eliminarle. L'interferone veicolato in questo modo riesce invece a rimuovere la tolleranza che si è instaurata contro il tumore e generare una nuova risposta immunitaria. “C'è proprio una sorta di immuno-riprogrammazione del sistema immunitario” precisa Mazzoleni. “Un altro aspetto interessante è che la tecnologia non è specifica verso un solo tipo di target/tumore, perché non c'è un antigene contro cui è diretta, come nel caso delle CAR-T”. 

Temferon potrebbe quindi potenzialmente essere applicato a più tumori (incluse le metastasi), ed in particolare anche contro i tumori solidi, più difficili da raggiungere anche con le nuove armi immunoterapiche, come le CAR-T.

Genenta ha ottenuto l'autorizzazione dalle autorità competenti nel 2018 per due trial clinici di fase I/II. Temferon verrà testato contro un tumore ematopoietico, il mieloma multiplo recidivato precocemente, presso il San Raffaele di Milano e contro un tumore solido, il glioblastoma multiforme (tumore del sistema nervoso centrale), presso l’Ospedale San Raffaele e l'Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano. Le due indicazioni sono state scelte sia in base ai dati preclinici a disposizione in merito a sicurezza ed efficacia, sia per il ‘medical need’ molto elevato, perché per entrambi la prognosi è sfavorevole e al momento per il glioblastoma multiforme non c’è alcuna opzione terapeutica. “Gli studi sono già partiti e stanno arruolando pazienti italiani – afferma Mazzoleni – il periodo di arruolamento per entrambi è di 20 mesi circa”.

Al momento la conclusione di entrambi gli studi clinici di fase I/II è prevista fra quattro anni, per ogni paziente arruolato infatti è in programma un follow-up di due anni, ma dipende da come andranno i risultati: se come si spera saranno particolarmente promettenti, il percorso clinico potrebbe subire un’accelerazione verso la fase III. In questo caso però, è probabile che Genenta debba trovare un partner farmaceutico per poter sostenere un trial clinico di questa portata.

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