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Terapia genica

Una tecnica innovativa è in grado di identificare la patologia alla nascita sfruttando le analisi che già vengono fatte di routine sui neonati. Fattore determinante per accedere precocemente alla terapia

Come descritto nel Report Orizzonte Farmaci 2021, l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) sta valutando l’autorizzazione all’immissione in commercio in Europa di eladocagene exuparvovec (PTC-AADC), terapia genica sperimentale sviluppata da PTC Therapeutics per il trattamento del deficit di decarbossilasi degli L-aminoacidi aromatici (AADC). Per questa rara e grave patologia neurometabolica una diagnosi precoce e la somministrazione in tempi brevi della terapia genica sono fattori determinanti e, di conseguenza, lo screening neonatale si rivela uno strumento fondamentale. Un nuovo metodo, frutto della ricerca italiana e pubblicato sulle pagine di Molecular Genetics and Metabolism,  permette di identificare il deficit di AADC sfruttando le analisi dei test di screening neonatale che vengono fatte di routine.

Il deficit di AADC è particolarmente complesso da diagnosticare, innanzitutto perché è poco conosciuto, ma anche perché è spesso confuso con altre patologie che causano sintomi simili. Negli ultimi anni è aumentato l’interesse verso questa patologia e, oltre alla terapia farmacologica di supporto (che però non include soluzioni specifiche), è in fase di valutazione in Europa la terapia genica eladocagene exuparvovec. È una terapia sperimentale “one shot” che utilizza vettori adenovirali per introdurre nel corpo del paziente il gene DDC (che codifica per la dopa decarbossilasi) “sano”, permettendo così la produzione dei neurotrasmettitori carenti nei pazienti affetti dalla patologia, tra cui dopamina e serotonina. I dati di follow-up ad oggi disponibili confermano la sicurezza della terapia e la sua efficacia: i pazienti a cui è stata somministrata hanno mostrato un evidente miglioramento in diversi parametri. È quindi facile immaginare come la disponibilità di un test per lo screening neonatale in grado di identificare il deficit di AADC sin dalla nascita sia fondamentale anche per l’eventuale somministrazione, in tempi rapidi, di terapie avanzate.

Lo studio recentemente pubblicato ha dimostrato un nuovo metodo, rapido e a basso costo, per identificare la patologia nel neonato. La ricerca - condotta dal dottor Alberto Burlina, Direttore dell’Unità Operativa Complessa Malattie Metaboliche Ereditarie presso l'Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova e coordinatore dello studio – ha permesso di scoprire che la 3-O-metildopa (3-OMD), biomarcatore chiave di questa patologia, è simile alla tirosina, che viene già analizzata nei test di screening neonatale per la diagnosi di tirosinemia. I ricercatori hanno ‘insegnato’ alla strumentazione già a disposizione nei laboratori a leggere il composto rilevato nei campioni di sangue secco sia come tirosina che come 3-OMD e, in caso di risultato positivo, hanno svolto analisi più specifiche, confermando o meno la diagnosi.

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