Un comitato ad hoc dell’agenzia delle Nazioni Unite ha passato in rassegna principi etici e strumenti regolatori, mettendoli alla prova con alcuni scenari ipotetici
Due anni di consultazioni, 18 esperti in rappresentanza di tutte le aree geografiche, oltre 150 pagine di analisi. L’atteso rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sull’editing del genoma umano è stato pubblicato il 12 luglio e si articola in tre parti: “Un quadro per la governance”, “Raccomandazioni” e “Position Paper”. Pur non essendo vincolanti, le indicazioni dell’OMS sono destinate a influenzare sia i governi che la comunità scientifica, poiché rappresentano il primo tentativo di mettere ordine su scala globale in un settore di ricerca tanto promettente quanto delicato. Non regole, ma coordinate per una roadmap che tiene conto di principi etici largamente condivisibili e approcci normativi concretamente utilizzabili.
IL RUOLO DELL’OMS
Lo scandalo delle due bambine editate in Cina alla fine del 2018 dal biofisico He Jiankui, attualmente in prigione, è stato il campanello di allarme che ha convinto l’OMS della necessità di assumere un ruolo di guida e favorire un coordinamento internazionale il più esteso possibile. Come era facile prevedere, il rapporto afferma che i tempi non sono maturi per utilizzare CRISPR sugli embrioni umani a scopo riproduttivo. Sul cosiddetto editing ereditabile gravano ancora troppe incertezze scientifiche e troppe questioni morali.
Ma il comitato estensore (WHO Expert Advisory Committee on Developing Global Standards for Governance and Oversight of Human Genome Editing) non ha voluto concentrarsi soltanto sul settore più controverso e ha allargato lo sguardo alle nuove declinazioni della terapia genica per individuarne potenzialità e aspetti problematici. Distinguere i campi di applicazione è fondamentale, perché tipi di intervento diversi pongono problemi differenti, da valutare anche in relazione ai contesti socio-economici dei vari Paesi.
I DIVERSI CAMPI DI APPLICAZIONI
Tanto per cominciare, editare embrioni a scopo riproduttivo, avviando delle gravidanze, è cosa ben diversa dall’editarli in vitro a scopo conoscitivo, per illuminare punti ancora oscuri della biologia dello sviluppo embrionale.
C’è poi l’editing in utero, che per il momento è stato eseguito solo su modelli animali, ma potrebbe trovare utili applicazioni terapeutiche per i feti umani, per correggere precocemente danni che altrimenti diventerebbero irreversibili, senza modificare le cellule riproduttive. Ancora diverso è l’editing epigenetico, reso più facile dall’invenzione di una nuova variante della tecnica detta CRISPRoff. Modificando l’accessibilità dei geni anziché la sequenza delle loro lettere, gli interventi dovrebbero essere reversibili e non ereditabili. È già realtà, infine, l’editing somatico, effettuato su cellule adulte appartenenti a individui già nati. Questa strategia sperimentale ha raggiunto i primi successi nel campo dell’anemia falciforme e della talassemia, con cellule del midollo prelevate ai pazienti, modificate in vitro e poi reinfuse (approccio ex vivo).
L’ultima svolta è rappresentata da un esperimento di editing in vivo con un trattamento a base di CRISPR mirato al fegato, somministrato direttamente in vena a sei pazienti affetti da una malattia rara chiamata amiloidosi da accumulo di transtiretina. Secondo il New York Times sono 156 gli studi clinici di editing non ereditabile avviati, ma l’OMS auspica un rafforzamento del registro dei trial che è ancora in fase pilota, e dei meccanismi per riferire in modo confidenziale eventuali abusi.
PRINCIPI E SCENARI
I principi a cui dovrebbe essere ispirata la regolamentazione dei vari interventi di editing comprendono trasparenza, giustizia sociale, innovazione responsabile, solidarietà. Ma quali problemi si presenteranno nel momento in cui dalle parole si passerà alla pratica? Gli scenari più inquietanti riguardano il turismo della speranza verso i Paesi più permissivi, dove potrebbero essere offerte pseudo-cure a base di editing per malattie incurabili e potrebbe persino fiorire il business del “children design”.
Ma anche le applicazioni meno controverse possono rappresentare una sfida per la buona governance, che potrà essere esercitata con strumenti diversi nei vari Paesi, combinando trattati, leggi, limiti ai finanziamenti per la ricerca o all’uso dei brevetti, autoregolamentazioni professionali. Immaginate, ad esempio, che un gruppo internazionale voglia avviare una sperimentazione clinica per l’anemia falciforme in una regione particolarmente colpita da questa malattia, nell’Africa sub-sahariana. Se il trial avesse successo, il trattamento difficilmente potrebbe essere nella disponibilità di tutti i malati in Paesi in cui il budget per la sanità è molto inferiore agli standard occidentali. Insomma si sperimenterebbe su pazienti poveri una terapia destinata ai ricchi. Come minimo dovranno essere coinvolti dei ricercatori locali, ed è anche lecito chiedersi se non sia meglio investire quelle scarse risorse in progetti meno hi-tech, più facilmente fruibili in loco.
Oppure ipotizziamo che venga approvata una sperimentazione per correggere la malattia di Huntington, che colpisce il cervello. In questo caso, sapere di avere una certa mutazione equivale alla certezza di ammalarsi. Ma poiché si tratta di una malattia progressiva, le persone che hanno partecipato ad una sperimentazione dovrebbero aspettare molti anni per sapere se l’editing ha funzionato. Per alleggerire il peso psicologico dell’incertezza, si potrebbero usare degli indicatori indiretti, da individuare con la ricerca preclinica. Un altro scenario ipotetico riguarda la possibilità di correggere la fibrosi cistica allo stato fetale, per le coppie contrarie all’aborto. Ma rispetto al passato i trattamenti convenzionali per questa malattia hanno migliorato molto le prospettive dei pazienti. E allora quanto è eticamente difendibile l’idea di sottoporre i feti a un rischioso trattamento di frontiera?
La discussione fra esperti e soggetti sociali su questi e altri punti è destinata ad ampliarsi, e l’OMS intende verificare i progressi della roadmap entro tre anni.