Virus

È ai nastri di partenza una sperimentazione clinica su un approccio rivoluzionario contro le cellule tumorali: farle aggredire da un virus 

Proprio pochi giorni fa è caduto il ventesimo anniversario dalla morte di Stephen Jay Gould, biologo e paleontologo statunitense che ha pubblicato numerosi libri sul concetto di “exaptation”, cioè quel meccanismo di riutilizzo ampiamente diffuso in natura. Difficilmente l’evoluzione forgia dal nulla un carattere, piuttosto lo “ricicla” in chiave diversa per un nuovo fine: le penne e le piume, ad esempio, si sono evolute per rispondere ai bisogni di termoregolazione dell’organismo prima di essere impiegate per il volo. Anche i ricercatori hanno applicato questa filosofia nel momento in cui hanno pensato di sfruttare i virus per combattere i tumori. Un concetto innovativo che trova sbocco nei cosiddetti “virus oncolitici”, di cui abbiamo parlato con il prof. Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano e direttore sanitario dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano.

FALSA PARTENZA

I virus oncolitici sono organismi geneticamente manipolati per aggredire in maniera specifica le cellule tumorali, le quali hanno la caratteristica di replicarsi molto velocemente”, spiega Pregliasco. “In questo modo essi colpiscono il tumore, risparmiando le cellule sane e stimolando il sistema immunitario a produrre una risposta contro se stesso”. Virologia e oncologia si erano già incontrate all’inizio degli anni Settanta, quando Howard Temin e David Baltimore rivelarono l’esistenza di un enzima che, nelle cellule infettate dai virus, consentiva il passaggio - al tempo ritenuto impossibile - da RNA a DNA. Si trattava di una notizia che certificava la possibilità di un virus a RNA di inserirsi nel genoma di una cellula ospite e che aprì la strada alla scoperta dell’HIV e della malattia da esso scaturita.

Tuttavia, l’ipotesi di usare un virus per distruggere le cellule del tumore nasce ancora prima, con le ricerche di Aina Muceniece, immunologa e virologa di origini lettoni che si rese conto delle potenzialità degli echovirus di attaccare le cellule del melanoma. Le sue ricerche hanno ottenuto attenzione solo molti anni più tardi, portando all’approvazione della prima controversa terapia basata su virus oncolitici - si parla di “viroterapia”. Rigvir, questo il nome del farmaco, si basava sull’uso del virus ECHO-7 per il trattamento del melanoma e fu approvato solo dall’Agenzia Nazionale dei Medicinali della Lettonia. Infatti, le prove a sostegno della sua efficacia erano molto fragili e questo virus oncolitico fu ufficialmente ritirato dal mercato appena due anni più tardi quando le analisi condotte sul preparato evidenziarono una scarsa quantità del virus ECHO-7.

UN NUOVO INIZIO

All’interno della comunità scientifica lo scetticismo nei confronti della viroterapia ha resistito sino all’avvento di Imlygic (talimogene laherparepvec): una delle prime terapie avanzate a comparire sul mercato, approvata prima dalla Food & Drug Administration (FDA) e poi, nel 2015, dall’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) per il trattamento di adulti affetti da melanoma non operabile chirurgicamente e con metastasi regionali o a distanza (ma non dell’osso, del cervello, del polmone o altro coinvolgimento viscerale). Talimogene laherparepvec consiste in una versione attenuata del virus dell’herpes simplex 1 - quello dell’herpes labiale - in grado di infettare le cellule del melanoma, moltiplicandosi al loro interno, e ucciderle senza compromettere le cellule sane.

“Questo farmaco ha aperto un’interessante prospettiva di trattamento con i virus geneticamente ingegnerizzati per contrastare il tumore”, continua Pregliasco. “Ma siamo ancora solo all’inizio. Occorre continuare a studiare non solo l’efficacia ma anche la sicurezza di questi virus oncolitici, specialmente nei riguardi dei pazienti immunodepressi (come da foglietto illustrativo, Imlygic non può essere somministrato a pazienti con sistema immunitario gravemente compromesso dal momento che non si può escludere che la riattivazione del virus susciti un’infezione da herpes in altre parti dell’organismo, N.d.R.)”.

VIRUS vs CANCRO 

Alla necessità di nuovi studi clinici e maggiori approfondimenti sull’uso dei virus oncolitici contro i tumori hanno risposto gli scienziati del Centro di Ricerca e Cura del Cancro “City of Hope” di Los Angeles e della biotech australiana Imugene annunciando l’avvio del primo studio clinico su pazienti con tumori solidi. La sperimentazione è basata su CF33-hNIS, un virus oncolitico studiato per infettare ed uccidere in maniera mirata le cellule del tumore. In una precedente pubblicazione sulla rivista Molecular Cancer Therapeutics gli scienziati statunitensi avevano dimostrato la capacità di questo candidato virus oncolitico - da solo o in combinazione con farmaci immunoterapici - di suscitare una risposta immunitaria e distruggere le cellule del tumore del colon in un modello murino. Visto i risultati promettenti, è stato deciso di proseguire l’attività di ricerca e di procedere con l’arruolamento del primo paziente in uno studio clinico di Fase I che valuterà la sicurezza di CF33-hNIS.

Più in particolare, CF33-hNIS consiste in un virus del vaiolo geneticamente modificato per infettare le cellule tumorali che, in questo modo, muoiono rilasciando in circolo gli antigeni grazie a cui i globuli bianchi possono sferrare l’attacco alle cellule tumorali vicine. Pertanto, CF33-hNIS non si limita ad attaccare direttamente le cellule tumorali ma scatena una risposta immunitaria contro di esse. “Quello impiegato per la realizzazione di CF33-hNIS è un virus della specie Orthopoxvirus che comprende anche i virus del vaiolo e del vaiolo delle scimmie, di cui si sente molto parlare in questi giorni, ma è di fatto un prodotto molto diverso da entrambi”, spiega Pregliasco. “Tanto da essere impiegato in questo studio che prevede l’arruolamento di 100 pazienti affetti da tumori solidi metastatici o avanzati, già sottoposti a precedenti trattamenti. Il fatto che si tratti di uno studio clinico di Fase I, incentrato sulla verifica della sicurezza del potenziale farmaco, indica che c’è ancora molta strada da fare. I risultati degli studi preclinici condotti su modelli di diversi tipi di tumore hanno messo in evidenza le potenzialità di questo virus oncolitico, ora bisognerà vedere che tipo di risposte esso offra sull’essere umano”.

MANTENERE I PIEDI A TERRA CONTINUANDO A STUDIARE…

In questa prima fase di studio l’attenzione dei ricercatori sarà dunque concentrata sui potenziali eventi avversi e sulla tollerabilità di CF33-hNIS nei partecipanti al trial. Se CF33-hNIS sarà ritenuto sicuro e ben tollerato, ulteriori indagini ne verificheranno l’interazione con il farmaco immunoterapico pembrolizumab, di cui è nota l’efficacia a sostegno del sistema immunitario nella lotta contro il tumore. “Spesso dati apparsi promettenti negli studi preclinici non trovano riscontro nelle successive fasi di ricerca”, conclude Pregliasco. “Perciò serve molta prudenza e non bisogna cedere a facili entusiasmi. Non è possibile sapere se questo nuovo virus oncolitico arriverà in clinica e neppure quando, perché ancora bisogna capire se davvero sia uno strumento utile per combattere i tumori. Ma se dovesse funzionare potrebbe rappresentare una svolta storica nella lotta al cancro”.

Il trial clinico con CF33-hNIS ha una durata di circa due anni. Quando l’arruolamento sarà completato e i dati saranno disponibili, si inizieranno a intravedere meglio le potenzialità della viroterapia.

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