Grazie ai dati raccolti dalla app COVID Symptom Study è stato sviluppato un modello per prevedere quali individui hanno più probabilità di sviluppare la sindrome long-COVID
La sindrome post-COVID (anche nota come sindrome “long COVID”) si riferisce a quell’insieme di sintomi che resta una volta passata l’infezione da SARS-CoV-2: per alcuni pazienti, purtroppo, la malattia non si conclude con l’agognato tampone negativo. Nella maggior parte dei casi la sindrome post-COVID colpisce i pazienti costretti al ricovero ospedaliero nella fase acuta della malattia. Per il monitoraggio dei sintomi dell’infezione, a marzo 2020 è stata lanciata negli Stati Uniti e nel Regno Unito la app “COVID Symptom Study” e ora, grazie ai dati raccolti, è possibile far luce anche sugli effetti a lungo termine. Lo studio è stato pubblicato il mese scorso sulla rivista Nature Medicine.
LA SINDROME LONG-COVID
Stanchezza, debolezza muscolare, disturbi del sonno, ansia depressione: sono molteplici i sintomi documentati da chi ha superato la fase acuta dell’infezione, ma si porta gli strascichi della malattia anche per mesi, siano essi lievi o debilitanti. In un studio cinese, pubblicato a gennaio su The Lancet, sono stati analizzati i sintomi di circa 1700 pazienti a 6 mesi dalle dimissioni per ricovero da COVID-19. I sintomi più citati sono proprio la stanchezza e la debolezza muscolare. Le segnalazioni di questo tipo sono aumentate negli ultimi mesi, ma si sa ancora poco sulla prevalenza, sui fattori di rischio o sulla possibilità di prevedere questa situazione. L’infezione da COVID-19 si può manifestare in un ampio spettro di gravità, da forme asintomatiche a fatali, con una certa eterogeneità anche nella durata dei sintomi. I pazienti ospedalizzati sono noti per avere dispnea e affaticamento duraturi, ma costituiscono solo una piccola parte della COVID-19 sintomatica. Sono ancora pochi gli studi nella popolazione generale che hanno lo scopo di accertare con precisione la durata della malattia e la presenza di effetti a lungo termine. La digital health potrebbe essere utile nel monitoraggio, nella raccolta dati e nell’approfondimento di questa problematica.
L’APP COVID SYMPTOM STUDY
L'applicazione per smartphone COVID Symptom Study, che è già stata scaricata oltre 4,6 milioni di volte, è un esempio di come le persone possono contribuire alla ricerca scientifica attraverso la tecnologia. Si tratta a tutti gli effetti di una attività di “citizen science” (cioè quelle attività collegate ad una ricerca scientifica a cui partecipano i cittadini), con possibili importanti conseguenze per la ricerca sul SARS-CoV-2. I sintomi auto-riferiti e registrati sulla app hanno permesso ai ricercatori – un team guidato da Claire Steves (King’s College London), Sebastien Ourselin (University College London e Université Côte d’Azur) e Tim Spector (King’s College London) – di avere a disposizione un bacino enorme di dati, registrati da marzo a settembre 2020 da circa 4,2 milioni di utenti, su cui lavorare e di pubblicare i risultati sulla rivista Nature Medicine.
Per questo studio, i ricercatori e le ricercatrici si sono concentrati sui dati di 4.182 utenti che rispettavano i criteri di inclusioni prefissati: una diagnosi confermata di COVID-19 e la registrazione giornaliera dei sintomi sulla app. Mentre la maggior parte delle persone che hanno sviluppato COVID-19 sono tornate alla normalità in meno di due settimane, i dati suggeriscono che una persona su 20 è probabile che soffra della sindrome post-COVID per otto settimane e a volte anche di più. Infatti, circa una persona su 50 ha continuato ad avere sintomi per oltre 12 settimane. A livello tecnico, la durata dei sintomi in questi individui è stata confrontata con quella del gruppo di controllo (persone con sintomi simili ma negativi all’infezione) abbinati per età, sesso e indice di massa corporea (BMI). Sono stati confrontati i dati degli utenti con sintomi persistenti per più di 28 giorni con gli utenti con una durata più breve dei sintomi, meno di 10 giorni, per capire se ci fosse la possibilità di creare un modello in grado di predire la sindrome long-COVID e di differenziarla dalla forma “standard”.
DAI RISULTATI UN MODELLO PREDITTIVO
Il gruppo di ricerca ha scoperto che gli individui più propensi a sviluppare la sindrome post-COVID sono le persone anziane, le donne e soprattutto coloro che hanno manifestato cinque o più sintomi. La natura e l'ordine dei sintomi, che includevano affaticamento, mal di testa, mancanza di respiro e perdita dell'olfatto, non influivano sulla long-COVID. Utilizzando queste informazioni, i ricercatori hanno sviluppato un modello per prevedere quali individui avevano più probabilità di sviluppare la sindrome. L’ algoritmo è stato strutturato per analizzare la situazione e fare previsioni basate su età, sesso e numero di sintomi precoci e i risultati sono stati buoni, dato che ha previsto con precisione quasi il 70 per cento dei casi di long-COVID.
Sebbene questi dati siano un altro segnale di quanto la tecnologia che portiamo sempre in tasca possa avere un impatto profondo nella salute pubblica, lo studio ha dei limiti, primo tra tutti la scelta del campione. Infatti, non è un campione rappresentativo della popolazione, ma è limitato agli utenti dell’app: ad esempio c’erano molte donne e pochi over 70. Restano comunque risultati utili, un buon punto da cui partire per fare una valutazione e uno studio più ampi, sfruttando la tecnologia a nostro favore.