Sono le terapie più costose al mondo e, senza una corretta gestione, potrebbero causare discriminazioni socioeconomiche per l’accesso ai trattamenti
Secondo i dati riportati da un articolo del mese di febbraio 2019, solo 367 su 4603 malattie rare registrate sul NIH Genetic and Rare Disease Information Center hanno a disposizione almeno una terapia approvata dalla Food and Drug Administration (FDA) e quasi il 70% - stando alle caratteristiche della patologia - potrebbe essere trattato con la terapia genica.
L’editing genomico sembrerebbe offrire una soluzione a molte malattie, avvicinandoci alle terapie personalizzate. CRISPR ha senza dubbio accelerato e semplificato la ricerca medica - e non solo - ma il suo utilizzo in clinica richiede tecniche specializzate per la progettazione, la produzione e la somministrazione di queste terapie. È stata presentata come una tecnologia rivoluzionaria a basso costo – ed è vero per quanto riguarda la ricerca di base - ma la sostenibilità economica delle terapie avanzate rimane un discorso molto più complesso.
La prima sperimentazione clinica con editing genomico a scopo terapeutico risale al 2009, quando le ZFNs (Zinc Finger Nucleases) – una tecnica di editing precedente all’introduzione di CRISPR e tutt’ora utilizzata - sono state usate per modificare il gene CCR5, coinvolto nella diffusione del virus dell’HIV all’interno delle cellule. Ad oggi, CRISPR viene sperimentato in diversi trial clinici, ad esempio per l’anemia falciforme e la beta-talassemia, HIV e la sordità, ma le possibili applicazioni non si fermano qui.
In una panoramica sulla sostenibilità economica dell’editing genomico pubblicata a inizio ottobre, vengono analizzati alcuni temi fondamentali, tra cui i costi, la produzione e la regolamentazione di terapie avanzate basate sull’editing genomico. Nello stabilire il prezzo finale di un farmaco bisogna mettere in conto diversi fattori: il processo di ricerca e sviluppo, quello di produzione e somministrazione e il valore stesso della terapia, considerando l’impatto sulla qualità della vita dei pazienti. Ma come si arriva a un milione di dollari o più? Quando un farmaco “classico” è in sperimentazione, l’azienda sa che i costi di ricerca e sviluppo verranno poi compensati attraverso vendite ripetute ai pazienti, cosa che non accade per le terapie avanzate. Nella speranza di bilanciare la spesa, per ora i costi si aggirano su 1-2 milioni di dollari. Questo perché una terapia genica, cellulare o tissutale può essere specifica per un gruppo ristretto di pazienti e, a volte, solo per una persona; le dosi prodotte sono poche dato che, al di là del numero ristretto di pazienti, viene somministrata una tantum; ma anche perché, oltre alla terapia in sé, bisogna studiare e sperimentare il miglior vettore per veicolare la terapia dove serve. In sostanza, la produzione di una terapia avanzata è molto più complessa rispetto alla produzione di un farmaco con un principio attivo basato su una molecola.
La prima terapia da un milione di dollari è stata Glybera®, una terapia genica per il deficit ereditario di lipasi lipoproteica messa in commercio nel 2012 e ora non più in commercio. È stata somministrata a poche decine di persone, la maggior parte facente parte dei trial clinici. I benefici, anche se presenti, non giustificavano il costo da record: infatti, un farmaco sicuro ed efficace può avere un basso impatto sui pazienti se il prezzo è eccessivo. Da allora, però, le cose non sono cambiate molto. È più recente l’esempio di Zolgensma®, la terapia “one-shot” (cioè data ai pazienti con una sola somministrazione) per l’atrofia muscolare spinale (SMA), il cui prezzo ha superato i 2 milioni di dollari. Attualmente l’alternativa per i pazienti affetti da SMA è nusinersen (Spinraza®), un oligonucleotide antisenso che permette di migliorare i sintomi della patologia, anche se non è risolutiva. Facendo due conti questa terapia supera il costo della terapia genica e, al di là del miglioramento della qualità della vita, parametro fondamentale per i pazienti, l’impatto economico sulle famiglie non è da sottovalutare. Pur trovando tutte le giustificazioni del caso, il problema economico rimane: i pazienti vanno in bancarotta per le spese sanitarie, molte assicurazioni non coprono ancora questo tipo di interventi e moltissimi in USA non hanno l’assicurazione. In Europa la burocrazia e i sistemi sanitari funzionano diversamente, ma la discussione è simile e spesso i pazienti, oltre alla terapia, devono sostenere spese extra, ad esempio farsi carico dei viaggi per raggiungere i centri autorizzati, magari in altri Paesi europei. Un esempio è Strimvelis: l’unico centro autorizzato è l’Ospedale San Raffaele di Milano e i pazienti devono per forza raggiungere la struttura per sottomettersi alla terapia. Il National Health Service (NHS, il sistema sanitario nazionale inglese) ha autorizzato nel 2017 l’utilizzo della terapia genica sui pazienti inglesi, prevedendo la copertura del costo della terapia e un supporto per le spese di vitto e alloggio in Italia, ma non tutti i sistemi sanitari hanno fatto lo stesso.
Gli autori mettono in evidenza due fattori principali di cui si dovrebbe discutere prima di diffondere questa nuova generazione di terapie: l’aspetto regolatorio e il processo di produzione. Per quanto riguarda l’aspetto regolatorio il discorso non è semplice. I trial clinici costano decine di milioni di dollari e i pazienti che utilizzeranno il farmaco sono pochi. Di conseguenza, la sostenibilità economica è un obiettivo difficile da raggiungere. Un’altra perplessità legata al piccolo numero di pazienti riguarda la sicurezza: come potrà essere valutata la sicurezza se la sperimentazione è fatta su numeri molto piccoli di persone? Questi farmaci rientreranno solo nell’uso compassionevole, definizione che riesce a uscire da alcune delle restrizioni previste dalle diverse fasi delle sperimentazioni? La soluzione ipotizzata è il test della tecnica di base, cioè il meccanismo di editing e di trasporto in generale, seguita dall’analisi di quali siano gli effetti dell’editing in vitro sulle cellule del paziente stesso e dall’identificazione di eventuali effetti collaterali della correzione. Anche la produzione di vettori virali per il trasporto di CRISPR è una fase complessa e particolarmente dispendiosa, ma ci sono studi sulle varianti non basate sui virus e meno costose, ad esempio le nanoparticelle lipidiche.
Per ottenere giustizia globale in ambito sanitario, queste terapie dovrebbero essere accessibili a tutta la popolazione, senza discriminazioni dal punto di vista socioeconomico. Purtroppo, per il momento, terapie avanzate e personalizzate – recente il caso del milasen - sono limitate nella loro applicazione a causa di tutte queste motivazioni. Basti pensare alla terapia genica per la beta-talassemia: più di 4 milioni di persone sono affette da questa patologia e la maggior parte di queste si trova in Paesi in via di sviluppo in cui è improbabile trovare strutture adeguate e personale specializzato in questo campo. È di fine ottobre la notizia dell’accordo tra NIH e Gates Foundation che prevede un investimento di 200 milioni di dollari per sviluppare terapie geniche e portarle nei Paesi più poveri. Un obiettivo nobile ma ambizioso sul quale molti esperti nutrono dubbi.