La piattaforma biotech diventa più agile: un kit assemblabile, modulare e multitasking. Per agire sul DNA si forniscono i componenti sfusi, anziché come parte integrante della struttura portante
Il modello classico di CRISPR trova il punto desiderato sul genoma, grazie alla sua guida di RNA, e poi recide la doppia elica con le sue forbici molecolari. Il punto del taglio, com’è noto, serve a introdurre le mutazioni. Ma non è sempre necessario né desiderabile alterare in modo permanente la sequenza delle lettere sul DNA. A volte è più utile accendere o spegnere i geni, rendendoli più o meno accessibili alla trascrizione. Per farlo si deve intervenire intorno al DNA, anziché al suo interno. A livello epigenetico, invece che genetico. L’Università di Stanford ha trovato un nuovo, ingegnoso modo per combinare gli attrezzi biotech necessari allo scopo. Il lavoro è stato pubblicato a gennaio su Nature Communications.
Finora, quando si voleva sfruttare CRISPR come sistema di posizionamento lungo il DNA senza tagliarne i due filamenti, si partiva da una variante con le forbici molecolari disattivate detta dCas9, dove la lettera d sta per dead, nel senso di cataliticamente morta. Quindi si fondeva questa struttura portante con l’attrezzo più adatto a svolgere il compito desiderato: un interruttore dell’espressione genica, ad esempio. Questa strategia, però, comporta due inconvenienti. Primo, questo tipo di nanomacchina deve essere prodotto su misura per i diversi scopi. Secondo, il modello così accessoriato è più ingombrante della versione standard di CRISPR, e dunque anche più difficile da trasportare dentro alle cellule sfruttando il passaggio di virus-navetta.
Per risolvere il problema, il team dell’Università di Stanford, guidato da Lacramioara Bintu, ha pensato di fornire separatamente l’intelaiatura e gli accessori, mettendo a disposizione anche i ganci molecolari perché le varie parti potessero connettersi tra loro direttamente in situ. Se l’elemento “effettore”, ovvero l’accessorio che serve a compiere una specifica funzione, è normalmente prodotto dalla cellula, non è nemmeno necessario introdurlo. Basta fornire a CRISPR l’amo giusto per pescarlo nell’ambiente cellulare.
In questo modo CRISPR diventa un kit assemblabile dentro alla cellula, modulare e multitasking. Può raggiungere il punto desiderato e lì può svolgere funzioni diverse, a seconda dei componenti che aggancia. Il ruolo di connettore può essere svolto da anticorpi (detti anche nanocorpi) capaci di riconoscere gli elementi da legare tra loro. La strategia è stata recentemente illustrata su Nature Communications e la speranza è che possa trovare delle applicazioni terapeutiche. Anche se tutte le cellule hanno lo stesso set di geni, il genoma appunto, i diversi tipi cellulari non li utilizzano tutti, perché hanno bisogno di proteine diverse in quantità e tempi differenti. Se qualcosa va storto in questo tipo di regolazione, per correggere il difetto occorre effettuare un editing epigenetico. Il metodo è ancora allo stadio di prova di principio, ma i ricercatori dicono di essere pronti a testare centinaia e persino migliaia di nanocorpi contemporaneamente. Il passo successivo sarà trovare gli stratagemmi migliori per farli agganciare alla dCas9 in modo da sistemare i difetti dell’epigenoma.
La tendenza a creare strumenti biotech a configurazione variabile è confermata da un altro lavoro pubblicato a febbraio su CRISPR Journal, "Development and Characterization of a Modular CRISPR and RNA Aptamer Mediated Base Editing System" | The CRISPR Journal. In questo caso lo scopo è modificare la sequenza delle lettere del DNA senza tagliarlo, attraverso il cosiddetto “editing delle basi” (base-editing). L’approccio standard alla correzione delle singole basi prevede di fondere la dCas9 con un enzima capace di convertire chimicamente le lettere creando la mutazione puntiforme desiderata. La nuova idea, invece, prevede di reclutare questo componente in modo transitorio, attraverso dei ganci molecolari (aptameri) presenti sull’RNA guida. Questo approccio, messo a punto da Juan Carlos Collantes e collaboratori alla Robert Wood Johnson Medical School, è stato ribattezzato “Pin-point editing”. Anche in questo caso si ottiene un vantaggio in termini di ridotto ingombro e trasportabilità. Un altro aspetto positivo dell’approccio modulare è che può essere utilizzato in modalità mix-and-match. Secondo gli autori, infatti, è possibile lavorare in multiplex effettuando nello stesso momento modifiche diverse: ad esempio la stessa struttura portante può servire a cambiare a lettera A nel gene X e la lettera C nel gene Y.