La ricerca si è svolta nei laboratori del CIBIO dell’Università di Trento ed è stata condotta su organoidi sviluppati a partire dalle cellule dei pazienti. Con importanti riscontri.
La fibrosi cistica è una malattia genetica causata dalle mutazioni nel gene CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane conductance Regulator) che codifica per la proteina omonima. La funzione di questa proteina è di regolare gli scambi idroelettrolitici e la sua alterazione comporta un'anomalia del trasporto dei sali. Questo determina, principalmente, la produzione di secrezioni "disidratate": il sudore è molto ricco in sodio e cloro, il muco è denso e vischioso e tende ad ostruire i dotti nei quali viene a trovarsi. Il problema principale è che le alterazioni genetiche che scatenano la patologia sono così tante da richiedere una classificazione a sé stante: da quelle che impediscono la produzione della proteina (classe I), e si associano ai casi più gravi, a quelle che implicano un’alterazione della conduzione ionica (classe IV), e determinano i fenotipi più lievi. Sul piano genetico la fibrosi cistica ha un’ampia variabilità e le manifestazioni respiratorie e gastrointestinali ne fanno la più diffusa malattia genetica con una prognosi severa. È per questo essenziale trovare presto una soluzione per correggere quante più mutazioni possibili al fine di ottenere una cura efficace per i pazienti.
All’Università di Trento, il gruppo di ricerca della prof.ssa Anna Cereseto, Direttore del Laboratorio di Virologia Molecolare del CIBIO e membro del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Terapie Avanzate, ha usato CRISPR per tentare di risolvere in modo permanente le cause della malattia risanando gli effetti di due mutazioni ad essa correlate. Il team di ricerca con la studentessa di Dottorato Giulia Maule, prima firmataria del lavoro, ha utilizzato - come proteina del sistema di editing CRISPR - la variante AsCas12a, anziché la più nota Cas9, prendendo di mira le due mutazioni 3272-26A>G (c.3140-26A>G) e 3849+10kbC>T (c.3718-2477C>T). L’efficacia della strategia è stata testata su organoidi prodotti a partire dalle cellule di alcuni pazienti. I risultati di questa promettente ricerca sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Communications.
“Le mutazioni su cui abbiamo lavorato colpiscono un introne che non si comporta in maniera normale non venendo completamente eliminato dall’RNA messaggero prodotto dal gene CFTR - spiega la prof.ssa Cereseto - Normalmente gli introni vengono scartati dall’RNA messaggero che viene tradotto in proteina ma queste mutazioni alterano la normale maturazione dell’RNA determinando la mancata produzione della proteina CFTR e, conseguente, insorgenza dei gravi sintomi della malattia”. Al CIBIO di Trento - dove gli studi su EvoCas9 hanno contribuito a maturare una forte esperienza su CRISPR - le forbici molecolari sono state ulteriormente perfezionate per eliminare le due mutazioni che originano la fibrosi cistica. La tecnica, ribattezzata 'SpliceFix' - perché ottiene la riparazione del gene (fix) e ripristina il corretto meccanismo di produzione della proteina (splicing dell’introne) - si avvale di una nucleasi diversa da Cas9: la nucleasi AsCas12a.
“Siamo ricorsi alla variante AsCas12a di CRISPR perché con Cas9 avremmo dovuto usare due guide a RNA, che normalmente servono alle Cas per riconoscere il sito di taglio nel genoma - spiega Cereseto - Il nostro intento era tagliare la sequenza genica mutata e, in questo specifico caso, AsCas12a, che da sola genera tagli più ampi di Cas9, ci ha permesso di eseguire il taglio con una singola guida senza dovere ricorrere a due guide a RNA. In questo modo abbiamo ripristinato la corretta sequenza genetica e la normale produzione della proteina CFTR, facilitando nel contempo il trasferimento di tutti gli elementi necessari per il taglio: una guida a RNA e la Cas”. Questa parte della ricerca è stata condotta nei laboratori dell’Università di Trento. Successivamente, la dott.ssa Maule ha continuato il lavoro di ricerca alla Katholieke Universiteit Leuven in Belgio per testare l’efficacia del metodo su modelli cellulari estremamente accurati quali sono gli organoidi. Per questa fase della ricerca sono stati impiegati organoidi di intestino derivanti da pazienti con le medesime mutazioni selezionate dai ricercatori trentini. “CFTR è una proteina posta sulla membrana cellulare ed è deputata a regolare gli scambi tra l’interno e l’esterno della cellula - aggiunge ancora Cereseto - Quando essa non funziona l’organoide rimane piccolo ma se CFTR svolge correttamente il suo ruolo l’organoide si rigonfia e torna alle dimensioni normali”.
“In sostituzione dei modelli animali l’utilizzo di organoidi, sviluppati a partire da cellule dei pazienti, ci ha permesso di verificare l’efficacia della strategia molecolare in un contesto vicino a quello dei pazienti affetti da fibrosi cistica” - conclude la dott.ssa Maule - “In tal modo abbiamo potuto dimostrare che la nostra strategia di riparazione è efficace e ha un alto grado di precisione colpendo soltanto le sequenze mutate e lasciando intatto il DNA non interessato dalla mutazione”.
Un risultato di non trascurabile portata se si considera che riportando il gene alla sua situazione originaria si può ridurre la concentrazione del muco, rendendolo meno denso. Permettendo in tal modo di trattare una malattia di cui in Italia soffrono circa 6.000 persone e che provoca almeno 200 nuovi casi ogni anno.