I ricercatori del VIMM e dell’Università di Padova hanno scoperto il modo di stampare e creare oggetti solidi all’interno di un organismo vivente per ricostruire organi
Negli ultimi anni la stampa 3D si è rivelata qualcosa di più di un passatempo per ‘nerd’, sconfinando nell’ambito della medicina e giungendo a rivoluzionare il settore dei trapianti. Tuttavia, lo studio clinico pubblicato lo scorso 22 giugno sulla rivista Nature Biomedical Engineering, che porta la firma di un gruppo di ricercatori del VIMM (Istituto Veneto di Medicina Molecolare) e dell’Università di Padova, ha fatto compiere un ulteriore balzo evolutivo a questa tecnologia, proiettando l’attenzione non tanto sulle moderne macchine per la stampa quanto sugli inchiostri da esse impiegati.
Gli studiosi padovani hanno sviluppato un gel fotosensibile che solidifica quando esposto a un raggio laser capace di attraversare i tessuti del corpo, senza danneggiarli. Tale gel in forma liquida può essere considerato la frontiera più avanzata della medicina rigenerativa, dato che può essere iniettato nei tessuti di un organismo vivo, in questo caso in modello murino, per poi solidificarsi in strutture definite dall’esterno del corpo mediante l’esposizione a una luce infrarossa emessa da un laser in grado di attraversare i tessuti senza provocare danni. In questo modo, grazie al controllo tridimensionale del laser, è possibile creare o stampare oggetti solidi all’interno del corpo di un organismo vivente.
L’innovatività intrinseca a questa ricerca è che essa consente di superare i limiti imposti dalla chirurgia tradizionale, gettando delle nuove basi per il futuro sviluppo di tecniche di chirurgia non invasiva per riparare e ricostruire gli organi di pazienti affetti da patologie rare e complesse: infatti, il gel può essere combinato con cellule donatrici, iniettato nel sito anatomico di interesse e usato per generare nuovo tessuto senza dover sottoporre l’organismo a particolari pratiche chirurgiche. I ricercatori hanno rinominato questa nuova tecnologia “intravital 3D bioprinting” o “i3D bioprinting” in quanto consente di eseguire la stampa 3D proprio all’interno dei tessuti viventi.
“Le tecniche più innovative di bioprinting 3D [il processo di produzione di tessuti o organi simili a parti del corpo e contenenti cellule viventi, utilizzando la stampa 3D, NdR] richiedono l’accesso diretto al tessuto della penna per la biostampa tridimensionale, di conseguenza, il controllo della forma e struttura del tessuto stampato è limitato a parti del corpo facilmente accessibili come la pelle”, afferma il prof. Nicola Elvassore, coordinatore dello studio, il cui team di ricerca opera tra Università di Padova e l’Istituto Veneto di Medicina Molecolare. “Siamo davvero entusiasti del fatto che la nostra tecnica permetta di visualizzare con altissima risoluzione la parte anatomica di interesse e ‘stampare’ tessuti nella posizione e della forma desiderati”. Dal momento che questo biogel può essere utilizzato come inchiostro biologico per “stampare” diversi tessuti nella forma desiderata, la sua potenziale applicazione riguarda le strategie di terapia cellulare personalizzata e di medicina di precisione nell’ambito della medicina rigenerativa.
In una prima fase i ricercatori hanno combinato il gel con le cellule donatrici selezionate in base al tipo di tessuto su cui intervenire. Il biogel così composto è stato quindi iniettato nell’area di interesse mediante l’uso di una semplice siringa. Successivamente, una speciale luce è stata diretta nell’area di interesse dall’esterno del corpo. Il biogel, sensibile ad una specifica lunghezza d’onda della luce, è in grado di creare dei legami e solidificare, intrappolando al suo interno le cellule donatrici e generando un tessuto che si adatta e si connette a quelli circostanti. “Questo studio rappresenta una delle sfide più grandi ed entusiasmanti della mia carriera. Infatti, per raggiungere i risultati ottenuti è stato necessario fondere insieme tecnologie emergenti e multidisciplinari”, spiega la dott.ssa Anna Urciuolo, primo autore dello studio e ricercatrice presso il VIMM. “La coordinazione di tali approcci di ricerca ha permesso di superare i limiti che esistevano nell’applicazione del bioprinting 3D in modelli viventi. Grazie alla possibilità di ‘stampare’ all’interno di tessuti viventi, siamo stati in grado di controllare spazialmente il delivery di cellule staminali muscolari, aumentando la loro abilità di generare nuovo tessuto muscolare”. L’intravital 3D bioprinting è stata utilizzata per generare nuovo tessuto senza causare danni agli organi o tessuti circostanti. Inoltre, la procedura non genera nessun prodotto secondario che possa rimanere nel corpo e può essere utilizzata per localizzare delle cellule donatrici nel tessuto ricevente.
Sebbene ancora in una fase pre-clinica, questo approccio potrebbe essere rivoluzionario nei casi in cui le cellule dei pazienti non siano in grado di riparare o ricostruire un tessuto danneggiato o mancante. Inoltre, si tratta di un tipo di ricerca di ingegneria tissutale che potrebbe condurre allo sviluppo di nuove terapie per i pazienti con complesse condizioni fisiche - in particolare per coloro che presentano danni a organi o tessuti - oppure a interventi di altissima precisione in cui la forma del tessuto rigenerato sia intimamente legata alla sua funzione, ad esempio nelle terapie oftalmiche o approcci di neurochirurgia.