Terapia genica per l'occhio

Alcuni studi hanno evidenziato le potenzialità della terapia genica nel settore oftalmico. Malattie ereditarie come il glaucoma e la neuropatia ottica ereditaria di Leber sono al centro del mirino

Alla fine degli anni Settanta la serie tv “L’uomo da sei milioni di dollari” ebbe successo raccontando le vicende di un ex astronauta al quale, in seguito ad un incidente, vennero sostituite alcune parti del corpo con componenti meccanici, tra cui l’occhio sinistro. Il suo occhio bionico gli permetteva di vedere meglio di prima e fare cose impensabili per un uomo. La serie televisiva di quaranta anni fa presentava scenari futuristici, oggi non siamo ancora arrivati alle realtà cliniche allora descritte ma alcune rivoluzioni terapeutiche sono ormai in atto. Ad esempio, la terapia genica potrebbe permettere di recuperare la vista - almeno in parte - in un occhio colpito dal glaucoma o da patologie come la neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON). Una normalità ritrovata è decisamente più affascinante di una potenzialità acquisita.

TERAPIA GENICA PER LA NEUROPATIA OTTICA EREDITARIA DI LEBER

La terapia genica potrebbe rivelarsi una chiave di volta contro la neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON), una rara malattia genetica mitocondriale ad ereditarietà materna. La patologia comporta una perdita rapida, e spesso improvvisa, della visione centrale in entrambi gli occhi. Si tratta di una malattia che colpisce prevalentemente i giovani adulti maschi e si manifesta in particolar modo tra i 18 e i 32 anni. La LHON è associata a una perdita improvvisa e indolore della visione centrale nel primo occhio, con il secondo occhio compromesso in modo sequenziale. È una malattia simmetrica con scarso recupero visivo funzionale.  L'incidenza stimata della LHON è di circa 800-1.200 nuovi pazienti che perdono la vista ogni anno negli Stati Uniti e nell'Unione Europea.

Ad oggi non è disponibile un trattamento specifico ma lo studio clinico di Fase III, i cui risultati sono stati pubblicati lo scorso dicembre sulla rivista Science Translational Medicine, ha coinvolto sette centri clinici tra Stati Uniti ed Europa (tra cui l’Italia con l’UOC di Clinica Neurologica dell’ Ospedale Bellaria di Bologna) e ha reclutato 37 pazienti colpiti da LHON che sono stati sottoposti al trattamento con una terapia genica sperimentale. La pubblicazione - a firma del prof. Patrick Yu-Wai-Man, dell’Università di Cambridge, del prof. José-Alain Sahel, dell’Università di Pittsburgh, e i ricercatori dell’Institut de la Vision di Parigi - dimostra che circa il 78% sei pazienti ha beneficiato di un miglioramento in entrambi gli occhi, un risultato molto importante.

La strategia terapeutica consiste nell’utilizzare un vettore virale adenoassociato contenente un cDNA modificato che codifica la proteina mitocondriale ND4 umana wild-type e una specifica sequenza di targeting mitocondriale per dirigere la proteina verso il compartimento mitocondriale. In particolare, l’iniezione del vettore virale rAAV2/2-ND4 (GS010) è stata eseguita nella cavità vitrea nella parte posteriore di un solo occhio dei pazienti e questa è una particolarità non trascurabile, poiché il miglioramento è stato sorprendentemente osservato in entrambi gli occhi.

L’esito della sperimentazione ha sorpreso gli stessi ricercatori che hanno, quindi, approfondito i risultati su un modello animale di macaco cinomologo, nel tentativo di spiegare come il trattamento di un occhio potesse apportare miglioramenti nell’altro. Essi sono giunti alla conclusione che la diffusione interoculare di rAAV2/2-ND4 potrebbe essere la chiave di questo incredibile effetto. Ben oltre le aspettative degli studiosi, tali conclusioni avvalorano ancor di più l’impiego della terapia genica non solo per il trattamento della LHON ma anche per altre malattie mitocondriali. Le ricerche stanno proseguendo e adesso è fondamentale operare una buona selezione dei pazienti individuando quelli in cui la perdita della vista si è verificata in tempi tali da ottimizzare la risposta terapeutica.

TERAPIA GENICA PER IL GLAUCOMA

Il glaucoma è una patologia del segmento anteriore dell’occhio provocata da un aumento della pressione intraoculare e conseguente danno delle fibre nervose della retina che determina una progressiva riduzione della visione fino alla cecità. Su questo fronte, la ricerca è ancora in fase preclinica ma con risultati molto interessanti. Un primo studio, apparso sulle pagine della rivista Nature Communications a novembre del 2020, ha evidenziato i benefici di una strategia di terapia genica, testata su colture cellulari e in modelli animali, sulla rigenerazione degli assoni danneggiati dell’occhio, gettando così le basi per lo sviluppo di nuove terapie conto il glaucoma.

I ricercatori si sono soffermati sul ruolo della protrudina, una proteina di membrana del reticolo endoplasmatico la cui sovraespressione innesca la formazione di protrusioni in linee cellulari non neuronali e favorisce la formazione delle estremità nervose nelle cellule dei neuroni. Ciò è reso possibile dal fatto che questa è una molecola strutturale che possiede siti di interazione specifici (come Rab11 e KIF5) per molecole utili alla crescita degli assoni. Un aumento dell’espressione di protrudina potrebbe quindi favorire la rigenerazione degli assoni del sistema nervoso che, contrariamente ad altri tipi di cellule, hanno una scarsa capacità di rigenerarsi. Ed è esattamente quello che è stato dimostrato nello studio recentemente pubblicato dal momento che una marcata espressione di protrudina è stata capace di aumentare il trasporto e l’accumulo di reticolo endoplasmatico, di endosomi Rab11 e di integrine negli assoni distali. Tutto ciò ha messo in luce un processo di rigenerazione (più che crescita di nuovi assoni) giustificato proprio dalla mobilitazione di componenti strutturali importanti.

Questo effetto è stato dimostrato ricorrendo a un protocollo di terapia genica per aumentare la quantità e l’attività della protrudina nell’occhio e nel nervo ottico, modificando le cellule da far crescere in coltura. Usando tecniche al laser, i ricercatori hanno poi indotto un danno ai neuroni per valutare la risposta all’espressione di protrudina. Essi hanno constatato che aumentando la quantità della proteina aumentava la capacità rigenerativa degli assoni e hanno poi verificato il risultato anche in un modello cellulare in vivo, ottenendo una nuova conferma delle potenzialità derivate dall’aumento di espressione di protrudina.

Il danneggiamento dei neuroni che si produce con l’insorgenza del glaucoma potrebbe dunque trovare soluzione in una terapia genica che arresti i processi di morte cellulare e favorisca la ricrescita degli assoni, ma non si tratta della sola nuova sperimentazione che abbia per protagonista questa malattia. Infatti, in un altro articolo apparso a dicembre su Nature - che vede tra gli autori i noti scienziati George Church e David Sinclair di Harvard - i ricercatori hanno progettato uno studio da cui è emerso come l’inversione delle lancette dell’orologio biologico restituisca alle cellule della retina delle proprietà giovanili, permettendo così un recupero della vista. In questo caso il perno della ricerca è la riprogrammazione cellulare la cui scoperta è valsa, nel 2012, il Premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia al giapponese Shinya Yamanaka e al britannico John B. Gurdon. In particolare, Yamanaka ha dimostrato che quattro geni - Oct4, Sox2, Klf4 e c-Myc - sono in grado di favorire la riprogrammazione di una cellula, riportandola “indietro nel tempo” al suo stato indifferenziato e di pluripotenza. Scoperta che ha aperto le porte alle cellule staminali pluripotenti indotte (IPSc), divenute ormai un importante e versatile strumento di studio in laboratorio e su cui si mira per promettenti terapie cellulari.

È importante sottolineare che quando si riporta indietro nel tempo una cellula ad uno stato pluripotente non è facile cancellare i marchi epigenetici che si sono accumulati durante la sua differenziazione. Inoltre, studi successivi hanno chiarito che una trasformazione di questo genere è estremamente delicata per la scelta delle cellule da riprogrammare e le conseguenze che può arrecare all’organismo: il rischio che si sviluppino tumori inaspettati. Nel loro studio i ricercatori guidati da David Sinclair, professore di genetica presso il Blavatnik Institute e co-direttore del Paul F. Glenn Center for Biology of Aging Research della Harvard Medical School, hanno valutato diverse combinazioni di questi geni, optando per eliminare c-Myc e concentrarsi sui rimanenti tre: così hanno ottenuto un’inversione dell’orologio dell’invecchiamento in sicurezza, senza generare tumori inattesi e senza perdere l’identità delle cellule stesse. Un tale approccio ha permesso il ripristino della vista in modelli animali di glaucoma umano, ridonando alla retina la sua funzione giovanile.

Anche in questo caso, ciò è stato possibile ricorrendo a tecniche di terapia genica che, sfruttando un vettore virale adenoassociato (AAV), hanno permesso di veicolare la combinazione dei tre geni all’interno delle cellule del ganglio retinico di adulti di topo con lesione del nervo ottico. Dopo il trattamento è stato notato un aumento del numero di cellule gangliari della retina sopravvissute alla lesione e un aumento di cinque volte della ricrescita dei nervi. Naturalmente, saranno necessari ulteriori studi per valutare l’efficacia e la sicurezza del metodo anche su modelli animali più complessi, ma il protocollo messo a punto potrebbe aprire la strada alla modifica anche di altri tipi di cellule, gettando le basi per la cura di ulteriori patologie anche al di fuori dall’ambito oftalmico.

Tutto ciò testimonia come la terapia genica possa diventare un’importante arma per le patologie che colpiscono la vista. Strategia che, tra l’altro, è già una realtà clinica, anche in Italia, per il trattamento di distrofie retiniche ereditarie.

Con il contributo incondizionato di

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