La storia della scoperta della struttura del ribosoma narrata da uno dei suoi protagonisti. Un racconto avvincente che intreccia gli elementi scientifici alla storia personale dell’autore
Film come "Inseparabili" di David Cronenberg o romanzi come "Il sosia" di Fedor Dostoevskij hanno contribuito a conferire fascino allo stereotipo dei gemelli diversi. Curiosamente, anche la biologia possiede una sua coppia antitetica, protagonista della storia dell’evoluzione: si tratta del DNA, custode di tutte le informazioni genetiche di ogni essere vivente, e l’RNA messaggero (mRNA), suo analogo indispensabile per la traduzione del codice genetico in proteine, i mattoni che compongono l’organismo. Ma se la doppia elica del DNA è universalmente nota a tutti, il ruolo dell’RNA non appare sempre chiaro (anche se intorno ad esso è fiorito il settore delle terapie su RNA). Se poi ci si inoltra nel campo del ribosoma, il macchinario responsabile della lettura dell’RNA, gli interrogativi si fanno più fitti.
Il ribosoma è una macchina affascinante senza cui non esisterebbe la vita così come la conosciamo ed è una componente chiave della formazione dei mattoni dell’organismo. Eppure la prima descrizione della sua struttura risale ad appena un ventennio fa. A narrare il percorso che ha condotto a questa scoperta è una delle più celebri figure in essa coinvolte, il prof. Venkatraman “Venki” Ramakrishnan, che nel 2009 ha condiviso il premio Nobel per la Chimica con Thomas Arthur Steitz e Ada Yonath per gli studi sulla struttura e sulla funzione dei ribosomi. Nel libro “La macchina del gene” (Biblioteca Scientifica - Adelphi, 2021) Venki Ramakrishnan ripercorre i suoi ultimi 40 anni spesi nella ricerca sul ribosoma, una macchina catalitica composta da proteine ribosomiali e molecole di RNA dove avviene la sintesi delle proteine.
Una volta che il DNA replica il suo messaggio nell’mRNA, questo raggiunge il ribosoma dove tale messaggio viene convertito nella struttura tridimensionale delle proteine. Il ribosoma è composto da due subunità, una più piccola e una più grande, che permettono questo delicato assembramento. La subunità minore (detta 30S) è quella dove gli RNA transfer (tRNA) vengono adattati all’mRNA mentre quella maggiore (detta 50S) è quella che catalizza i legami peptidici che uniscono la catena di aminoacidi in formazione.
Queste informazioni che ormai diamo per scontate ci sono note per merito degli studi di Ramakrishnan Steitz e Yonath. Nel suo libro - la cui prefazione è stata curata da Jennifer Doudna, vincitrice del Premio Nobel per la Chimica nel 2020 per la scoperta del sistema di editing genomico CRISPR - Ramakrishnan descrive come la sua personale storia di vita si sia intrecciata con quella del ribosoma, rimettendo le lancette dell’orologio indietro di circa 40 anni, quando da giovane studente giunse dall’India negli Stati Uniti.
Tra momenti più didattici, in cui la spiegazione scientifica prende il sopravvento - Ramakrishnan è in grado di spiegare in maniera semplice anche tematiche molto complesse - e passaggi in cui la narrazione si fa più personale, il racconto procede sulle tracce del ribosoma. "La macchina del gene" è una sorta di diario dell’autore, nel quale si descrivono i suoi inizi come fisico, la sua virata verso la biologia e l’avvio verso lo studio della subunità 30S. Tra le righe emerge la cultura di un uomo proveniente da un Paese lontano che ha avuto l’ardore di ricominciare da zero, con grande umiltà e profonda dedizione. Un uomo che, si capisce proseguendo il racconto, è dotato di grande ambizione e forte desiderio di affermazione. Onesto, sincero e pacato Ramakrishnan ha viaggiato, spostandosi da un ateneo all’altro, prima negli Stati Uniti e poi in Inghilterra, andando di laboratorio in laboratorio senza rinunciare mai a mettere in pratica la parte più bella della scienza: quella che lascia spazio all’intuizione e si avvantaggia delle contaminazioni con altri settori di studio (nel suo caso, la fisica). Un libro avvincente nel quale trova spazio anche una riflessione sulle poco note dinamiche con cui vengono assegnati premi di prestigio internazionale come il Premio Nobel, assegnato ad alcuni grandi scienziati dietro cui vi sono elenchi lunghissimi di colleghi e ricercatori che hanno partecipato alle scoperte premiate.
Quello offerto da Ramakrishnan è, dunque, un punto di vista unico, ineguagliabile sotto molti aspetti, dal quale ripercorrere la storia di una delle strutture cardine per la genesi della vita. Al contempo, Ramakrishnan delinea lo sviluppo della cristallografia, toccando le tappe principali del progresso tecnologico che ha portato ad ottenere mappe sempre più definite. In un certo senso, i protagonisti di questa avventura sono come i primi cartografi che tracciavano i profili dei continenti: più aumenta la risoluzione e più dettagli emergono. E da essi fioriscono nuove ipotesi funzionali. Ma questo procedimento ha richiesto anni di tentativi, di errori e ripartenze, lasciando infine tre gruppi di ricerca a contendersi l’ambito riconoscimento e, soprattutto, a imprimere la firma su una scoperta che ha cambiato le conoscenze nell’ambito della biologia.
“La macchina del gene è la storia delle esperienze personali dell’autore, prima studente e poi professore e ricercatore appassionato, e del suo impegno per capire come fanno le cellule a svolgere uno dei processi fondamentali per la vita: la sintesi delle proteine. In questo racconto avvincente rivivono l’entusiasmo per la scoperta, la frustrazione per gli esperimenti falliti, i conflitti personali e professionali che accompagnano il cammino verso il successo scientifico”, sono le parole con cui Jennifer Doudna inizia la sua prefazione e che riassumono perfettamente il senso di un’opera che è anche un pezzo di storia. Un libro che accende una luce sull’RNA, quel gemello meno famoso grazie a cui esiste il DNA.