Feng Zhang

Il pioniere sino-americano, celebre per aver adattato CRISPR alle cellule umane, ha illustrato le sue linee di ricerca al congresso annuale dei genetisti italiani

Feng Zhang è considerato un mago dell’innovazione biotech. A 24 anni ha dato un contributo fondamentale all’invenzione dell’optogenetica, che serve a controllare il funzionamento delle cellule attraverso gli impulsi luminosi. A 32 ha capito come far funzionare il sistema batterico CRISPR nei mammiferi, il cui DNA è compartimentato e organizzato ben diversamente rispetto a quello dei microrganismi. Oggi di anni ne ha 40 e nelle provette del suo laboratorio, al Broad Institute di Boston, continuano a bollire idee originali. “Spero che troverete interessanti i progetti che illustrerò”, ha esordito lo scorso 24 settembre, quando si è collegato da remoto al meeting dell’Associazione Genetica Italiana. La sua lezione non ha deluso le aspettative. 

Tanti scienziati stanno esplorando la diversità molecolare offerta dal mondo microbico, allo scopo di arricchire ulteriormente la cassetta degli attrezzi dell’editing genomico. Una di queste esplorazioni ha convinto Zhang che il sistema CRISPR in natura non serve soltanto a difendere i batteri dai virus invasori. In alcuni microrganismi ha assunto anche la funzione di aiutare gli elementi mobili del genoma a saltare da un punto all’altro del DNA dell’ospite. Parliamo dei trasposoni: sequenze di DNA associate a proteine che fanno il taglia-incolla (trasposasi), che per lo più sembrano spostarsi casualmente nel genoma cellulare e in quello di altri elementi mobili presenti dentro alla cellula (virus o anellini di DNA detti plasmidi). In qualche caso però i trasposoni hanno imparato a dirigersi verso destinazioni mirate, sfruttando il meccanismo di posizionamento guidato di CRISPR assai prima che Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier capissero che poteva diventare uno strumento per l’editing genomico. 

Perché mai un elemento opportunista come un trasposone dovrebbe trovare utile limitare la propria mobilità a siti prescelti? Che vantaggi può dare questa limitazione? La domanda è stata posta da Michele Morgante dell’Università di Udine, che faceva gli onori di casa, e Zhang ha dato una duplice risposta di tipo evoluzionistico. “Un’elevata attività di trasposizione può essere tossica per le cellule. Ma un trasposone può essere molto attivo, e al tempo stesso ben tollerato dall’ospite, se è preciso nell’inserzione, soprattutto se s’inserisce in un punto benigno del genoma”. Il sistema CRISPR dunque darebbe ai trasposoni la specificità necessaria per minimizzare la tossicità dei loro salti. La seconda ragione plausibile è che “spesso i sistemi CRISPR hanno come bersaglio degli elementi genetici mobili come fagi e plasmidi. Trasponendosi su DNA mobile, i trasposoni possono muoversi ancora di più e possono diffondersi più rapidamente ad altri ospiti”.   

È possibile che alcuni di questi meccanismi siano conservati anche nelle cellule degli organismi superiori (i cosiddetti eucarioti), non soltanto nei batteri, e Zhang sta già indagando su questa possibilità. Il fatto che i trasposoni possano usare CRISPR e i suoi RNA guida come un Gps, per arrivare alla destinazione prescelta, li rende un possibile strumento biotech per l’inserzione mirata di segmenti di DNA. Questa tecnica è stata ribattezzata CAST, che vuol dire “trasposasi associate a CRISPR” e Zhang ha già iniziato a sperimentarne l’efficienza e la precisione usando la trasposasi di un cianobatterio. In questa specie, detta Scytonema hofmanni, la trasposizione sfrutta come Gps la proteina Cas12k, che in laboratorio si è dimostrata capace di effettuare inserzioni guidate nel genoma del batterio E. coli. Il vantaggio è che il processo di trasposizione avviene senza coinvolgere i meccanismi di riparazione cellulare che invece sono richiesti per far funzionare le forbici genetiche della tecnica di editing più classica. Mentre il modello standard di CRISPR è ideale per mettere fuori uso un gene indesiderato, la vocazione di CAST è integrare nuove sequenze utili. “Stiamo continuando a lavorare su questo sistema per cooptarlo, in modo da poterlo usare in un ambiente eucariotico per diverse applicazioni di editing genomico”, ha spiegato il ricercatore. 

Zhang ha illustrato ai colleghi italiani anche i progressi dell’uso di CRISPR a scopo diagnostico e ha parlato dell’utilità di CRISPR per eseguire screening a tappeto di genomica funzionale, identificando i geni coinvolti in processi come le metastasi tumorali, la farmaco-resistenza, l’infiammazione. Ma ha voluto soffermarsi, in particolare, su un altro filone meno noto, che sfrutta delle strutture simili a retrovirus come nuovo espediente di delivery, per portare CRISPR là dove è richiesta la sua azione, all’interno del corpo. “Uno dei principali colli di bottiglia per la terapia genica è l’abilità di veicolare i reagenti in cellule e organi specifici e di farlo in un modo che sia sicuro e non immunogenico”, ha spiegato. Generalmente come navette di trasporto si usano delle gocce di grasso, degli adenovirus o dei lentivirus. Zhang sta puntando su quei virus che, dopo essere entrati nella cellula, retro-trascrivono il proprio codice genetico da RNA a DNA, e lo integrano nel genoma cellulare per poi produrre molte copie di sé. Nel nostro genoma, in effetti, sono presenti molti relitti retrovirali, che potrebbero essere riconvertiti in vettori per l’editing con un metodo chiamato SEND (Selective Endogenous eNcapsidation for cellular Delivery). Fra tutte le sequenze di origine virale candidate a questo ruolo, si è distinta quella per la proteina PEG10, che è secreta in modo efficiente dalle cellule di mammifero. Il gruppo di Boston l’ha usata per costruire nanoparticelle capaci di fondersi a diversi tipi cellulari e scaricare dentro gli ingredienti necessari per l’editing genetico, sotto forma di RNA. Una volta perfezionato, questo sistema potrebbe avere il vantaggio di essere ben tollerato dai pazienti, perché la proteina PEG10 è già presente naturalmente nel loro corpo.

“Stiamo imparando dalla natura e siamo entusiasti per la ricchezza della biodiversità, il dataset di queste sequenze cresce a ritmo esponenziale e stiamo trovando molti sistemi interessanti”, ha detto Zhang. Il suo approccio è una sorta di “euristica computazionale”, ispirata al principio della “colpa per associazione”. Se si trovano elementi genetici simili a elementi CRISPR o associati a essi, si presume che possano svolgere funzioni simili o collaborare. “In questo modo abbiamo individuato un certo numero di sistemi immunitari batterici precedentemente ignoti”, ha annunciato Zhang facendo l’esempio dell’ultimo lavoro pubblicato su Science: delle proteine ancestrali codificate in una famiglia di trasposoni, da cui il sistema CRISPR potrebbe essersi evoluto e che potrebbero diventare a loro volta degli utili strumenti biotech della categoria ribattezzata OMEGA (Obligate Mobile Element Guided Activity). “Queste proteine sono tra le più abbondanti sulla Terra, e ciò suggerisce che l’attività di taglio del DNA guidata da RNA sia ampiamente distribuita nella biosfera”, ha concluso Zhang.   

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