car-t, glioblastoma, malattie autoimmuni

Risultati incoraggianti contro i tumori al cervello e le malattie autoimmuni e tante novità per rendere sempre più mirata e persistente l’azione dei superlinfociti 

La fine dell’anno solitamente è il tempo riservato ai bilanci, dalla valutazione degli obiettivi raggiunti, agli errori compiuti fino alle soluzioni per correggerli e, soprattutto, alla definizione di nuovi obiettivi per l’anno che verrà. Nel mondo delle terapie avanzate le fuoriclasse della stagione appena conclusa sono state le CAR-T, con cinque terapie disponibili in Italia su sei approvate in Europa e con indicazioni in continuo aumento. Attualmente autorizzate in onco-ematologia per patologie come leucemia, linfomi delle cellule B e mieloma multiplo, più volte resistenti ai trattamenti convenzionali e con forte tendenza alla recidiva, stanno dando importanti risultati sperimentali anche nell’ambito dei tumori solidi e delle malattie autoimmuni. A voler far un paragone un po’ visionario, le CAR-T potrebbero rappresentare per le terapie avanzate ciò che Jannik Sinner rappresenta per il tennis: efficienza, capacità di adattamento e costanza nel risultato. Con ancora ampi margini di crescita.

OBIETTIVO GLIOBLASTOMA

Che cosa giustifica tanto entusiasmo per questa forma di immunoterapia? Innanzitutto non è secondario il fatto di attestarsi come possibile futura opportunità di trattamento per pazienti affetti da tumori incurabili come il glioblastoma. Più o meno all’inizio dell’anno abbiamo riportato i risultati di due studi clinici in corso su una CAR-T studiata per contrastare questa rara ma estremamente aggressiva forma di tumore al cervello che lascia ben poche speranze ai malati. In un’intervista pubblicata su Forbes Carl June, l’immunologo e professore dell’Università della Pennsylvania a tutti gli effetti considerato il “padre delle CAR-T”, ha parlato con entusiasmo dei benefici derivanti dall’infusione diretta di cellule CAR-T nel cervello di pazienti adulti con glioblastoma, generalmente colpiti da forme più complicate e severe di quelle dei bambini. 

Nella lotta al glioblastoma uno dei principali ostacoli al lavoro dei ricercatori è la tendenza del tumore a evadere la risposta immunitaria, cioè a ridurre l’espressione di alcuni antigeni bersaglio di fatto neutralizzando l’efficacia dei trattamenti. I tumori solidi, infatti, presentano un’ampia variabilità antigenica che abbassa le probabilità di successo di una terapia basata su un solo antigene; inoltre, nel corso delle recidive tendono a mutare costringendo a ricorrere a nuovi trattamenti, le terapie faticano quindi a tener il passo della malattia. Usando una CAR-T “a doppio bersaglio” (dual target) i ricercatori auspicano una riduzione del meccanismo di evasione immunitaria, preservando l’efficacia dei trattamenti per periodi di tempo prolungati. L’équipe di ricerca del professor June ha sperimentato una CAR-T di questo tipo su 6 pazienti con risultati notevoli: ognuno di loro ha ottenuto una diminuzione del volume tumorale e le CAR-T dual target sono rimaste in attività per circa un mese prima di cominciare a osservare una diminuzione nella loro attività clinica.

Un secondo approccio attualmente in studio è quello di Christine Brown, ricercatrice del City of Hope Comprehensive Cancer Center (Stati Uniti), che sta testando l’infusione di una terapia CAR-T direttamente nel cervello dei malati, superando la barriera emato-encefalica che costituisce una difesa per il cervello ma anche un ostacolo al passaggio di varie molecole terapeutiche. In uno studio di Fase I su 58 pazienti affetti da tumori maligni di alto grado si è visto che, dopo il trattamento, in circa la metà di essi la malattia si era stabilizzata. Infine, c’è l’approccio - di cui abbiamo parlato qui - sviluppato dalla professoressa Marcela Maus, del Massachusetts General Hospital di Boston, che sfrutta una CAR-T diretta contro l’antigene EGFRvIII. Nel giro di pochi giorni dall’infusione i ricercatori hanno osservato una riduzione sostanziale dei tumori e, nonostante il glioblastoma abbia la tendenza a ripresentarsi, Maus e i suoi colleghi sono al lavoro su un sistema per allungare ancora di più l’intervallo di attività delle cellule.

“Penso che tra circa cinque anni la Food and Drug Administration (FDA) potrebbe approvare le prime CAR-T per il glioblastoma”, ha dichiarato June nel corso dell’intervista, aprendo una finestra su un futuro decisamente positivo.

LA SCALATA ALLE MALATTIE AUTOIMMUNI

Il 2024 è stato un momento di svolta soprattutto in relazione ai risultati ottenuto con le terapie CAR-T nelle malattie autoimmuni. Come riportato da Osservatorio Terapie Avanzate, all’inizio dell’anno all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù sono stati trattati tre giovani affetti da lupus eritematoso sistemico (LES) e dermatomiosite. Poco più tardi anche dalla Germania sono giunte notizie del trattamento di alcuni pazienti affetti da LES, miosite e sclerodermia che avevano fatto registrare tassi di risposta del 100%, con remissioni medie di circa 15 mesi al follow-up. I risultati promettenti hanno scatenato un effetto domino e in diversi Paesi sono stati avviato nuovi studi clinici su pazienti affetti da malattie autoimmuni.

Il lupus eritematoso sistemico è una malattia autoimmune caratterizzata dalla presenza di autoanticorpi rivolti contro un grande numero di antigeni nucleari e questo contribuisce a spiegare le lesioni immunopatologiche a carico di diversi organi (reni, polmoni, apparato cutaneo e cardiovascolare): in particolare, è l’attivazione policlonale della linea B a rendersi responsabile di molti di questi fenomeni, concorrendo a spiegare perché le malattie autoimmuni come il LES possano essere oggetto della terapia con CAR-T.

“Che i linfociti B ricoprano un ruolo centrale nella patogenesi delle malattie autoimmuni è noto da decenni”, aveva detto in un’intervista dello scorso febbraio a Osservatorio Terapie Avanzate il dott. Fabrizio De Benedetti, Direttore dell’U.O.C. di Reumatologia dell’IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. “Infatti, oltre a sfornare gli anticorpi con cui attaccare i patogeni che minacciano l’organismo, i linfociti B possono produrre auto-anticorpi diretti contro le strutture sane”. In particolare, i precursori dei linfociti B le giovani plasmacellule esprimono sulla loro superficie l’antigene CD19, contro cui sono state realizzate le CAR-T che, per questa ragione, suscitano un massiccio effetto terapeutico contro queste malattie.

LE NUOVE VERSIONI DELLE CAR-T 

Se il bilancio di un anno fa immaginare di essere prossimi a segnare un punto decisivo contro malattie che si sono storicamente sempre dimostrate in vantaggio sulla pratica medica, il bilancio di 12 anni di ricerca sulle CAR-T è ancora più eccezionale. Risale, infatti, al 2012 il trattamento di Emily Whitehead, la bambina di sette anni affetta da una leucemia linfoblastica incurabile, con una prima versione di terapia a base di CAR-T messa a punto dal team di Carl June (storia raccontata nel podcast realizzato da OTA “Reshape – Un viaggo nella medicina del futuro”). Emily è oggi considerata completamente guarita e negli anni è diventata il simbolo dei successi di queste innovative terapie.

La ricerca in questo campo sta andando sempre più veloce. Leucemia, linfomi, mieloma multiplo, malattie autoimmuni e tumori solidi - come il glioblastoma - sono divenuti i bersagli di un filone di terapie che sono in costante evoluzione, anche nei processi di produzione. Le terapie a base di cellule CAR-T nascono, infatti, come terapie autologhe, ovvero destinate al solo paziente da cui sono state prelevate le cellule da ingegnerizzare, ma stanno puntando a diventare anche terapie allogeniche, ottenute da donatori e perciò destinate a un’ampia fascia di persone, indipendentemente dalle loro caratteristiche cliniche. Se le prime sono più sicure e si mantengono più a lungo all’interno dell’organismo ospite, le seconde – chiamate anche off-the-shelf - sono più semplici e meno costose da produrre, configurandosi come soluzioni ideali per malattie con un dato profilo patologico. Poi ci sono le CAR-T ex vivo (i linfociti T vengono ingegnerizzate al di fuori dell’organismo ricevente) e quelle in vivo (la modifica genetica delle cellule immunitarie avviene direttamente all'interno del paziente): per le loro caratteristiche consentono di adattarsi a contesti di patologia differenti. Infine, non bisogna dimenticare che le ultime generazioni delle cellule CAR-T sono contraddistinte dalla presenza di sistemi in grado di potenziarne l’effetto o di incrementarne il livello di sicurezza.

Il cancro è una malattia poliedrica che richiede attacchi su più fronti per poter sperare in una vittoria perciò non bisogna commettere l’errore di pensare che ogni filone di ricerca porti alla vena d’oro e costituisca perciò la soluzione finale. Bisogna adottare un’ampia prospettiva in cui questi trattamenti possano essere combinati tra loro o con altre soluzioni terapeutiche. Per vincere domani occorre apprendere la lezione di oggi e, come insegna Jannik Sinner, rimanere concentrati sul proprio obiettivo sapendo fare gioco di squadra.

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