Prof. Enzo Medico (Torino): “Abbiamo reso le cellule Natural Killer intelligenti, facendo in modo che agiscano solo quando riconoscono due bersagli contemporaneamente sulla cellula tumorale”
L’immunoterapia è un filone di trattamento relativamente giovane, che negli scorsi anni ha raggiunto standard elevati di efficacia grazie all’entrata in commercio di anticorpi monoclonali specifici per alcuni tumori come quello alla mammella e al polmone. Attualmente l’esempio più noto dell’efficienza di questo approccio sono le terapie a base di cellule CAR-T ma altre componenti del sistema immunitario - come le cellule Natural Killer - possono essere brillantemente ingegnerizzate e sfruttate per combattere tumori anche molto diffusi, tra cui quello al colon-retto. Lo raccontano a Osservatorio Terapie Avanzate il professor Enzo Medico e il dottor Marco Cortese, dell’IRCCS - Istituto di Candiolo, Fondazione del Piemonte per l’Oncologia e Università degli Studi di Torino.
CELLULE NATURAL KILLER CONTRO IL CANCRO
In un recente articolo pubblicato sulla rivista Molecular Therapy, i ricercatori italiani hanno descritto una nuova interessante strategia immunoterapica per il trattamento del cancro del colon-retto in cui risulta amplificato il gene HER2. Protagoniste di questa ricerca sono le cellule Natural Killer (NK), che fanno parte della cosiddetta immunità innata, cioè della prima forma di difesa dell’organismo contro i patogeni. Le cellule NK sono ricche di granuli litici e quando riconoscono una cellula infetta la attaccano e la distruggono: la loro azione è diretta contro patogeni e microbi, ma sono anche in grado di uccidere le cellule tumorali e hanno il vantaggio di riuscire a farlo in maniera rapida ed efficace. Purtroppo, in alcune situazioni le cellule del tumore si rendono “invisibili” e creano un ambiente sfavorevole per le NK, evitando così di esser riconosciute e distrutte. Così il tumore riesce a svilupparsi ed evolvere.
“Le terapie basate sull’espressione dei recettori sintetici CAR hanno ottenuto enormi successi nel contrasto delle malattie ematologiche, in particolare delle leucemie e degli linfomi”, spiega il Professor Enzo Medico, direttore del Laboratorio di Oncogenomica a Candiolo. “In quei casi, infatti, le cellule tumorali circolano nel sangue e sono più facilmente aggredibili dalle cellule immunitarie ingegnerizzate. A volte ciò si realizza usando bersagli condivisi anche con cellule sane ma, in tal caso, il sacrificio è compatibile con la sopravvivenza del paziente. Anche nei tumori solidi come quello del colon-retto, gli antigeni bersaglio contro cui dirigere la terapia sono presenti pure su cellule che compongono tessuti sani ma, in questo caso, il loro danneggiamento comporta livelli di tossicità insostenibili per il paziente. Per questa ragione occorre trovare una diversa modalità di approccio”.
UN SISTEMA A DOPPIO RICONOSCIMENTO
Una piccola percentuale (circa il 5%) dei pazienti affetti da tumore del colon-retto presenta un’amplificazione del gene HER2, la quale spesso innesca una resistenza alle terapie anti-EGFR. In passato gli scienziati hanno pensato di utilizzare speciali CAR-T contro questo tipo di tumore ma, per quanto HER2 sia un bersaglio efficace, il problema dell’attività “fuori bersaglio”, diretta contro tessuti sani, ha limitato l’uso dei linfociti T potenziati. I ricercatori torinesi hanno perciò provato a mantenere fisso il bersaglio - HER2 - studiando una soluzione che consentisse di colpire in maniera selettiva le sole cellule tumorali. Così hanno pensato di sfruttare il sistema synNotch/CAR nelle NK.
“Il nostro approccio utilizza un sistema “intelligente” nel quale l’interazione del primo recettore di tipo synNotch con HER2 permette l’espressione del recettore CAR diretto contro l’antigene CEA espresso sulla superficie delle cellule tumorali”, precisa Marco Cortese, che ha condotto le ricerche nel corso del suo dottorato. “In particolare, le cellule NK non si attivano solamente al riconoscimento del recettore HER2 amplificato sulle cellule tumorali, ma quando vengono anche in contatto con un secondo bersaglio costituito dall’antigene carcino-embrionario CEA”. Gli scienziati italiani sono ricorsi alle cellule NK perché hanno un comportamento meno aggressivo rispetto ai linfociti T. Hanno quindi modificato queste cellule per far in modo che solo in presenza del bersaglio HER2 amplificato “sfoderino” il CAR e riescano a individuare e uccidere le cellule di cancro del colon. Con risparmio delle cellule sane e un minor tasso di tossicità per i pazienti.
DUE RECETTORI DALLE CARATTERISTICHE OPPOSTE
“Una delle maggiori difficoltà è stata quella di fare in modo che il recettore sintetico synNotch contro HER2 si attivi solo qualora il livello del bersaglio HER2 sia molto elevato, dal momento che questo si esprime anche in quantità medio/basse in moltissimi tessuti dell’organismo”, prosegue Cortese. “Abbiamo lavorato in modo tale che il synNotch potesse essere calibrato accuratamente per distinguere le cellule sane da quelle patologiche, in cui HER2 è presente in quantità decisamente più elevate”. Infatti, mentre, il recettore CAR si attiva automaticamente alla presenza del suo bersaglio, il synNotch è modulabile e si può adattare ai diversi livelli dell’oncogene bersaglio.
“I risultati dello studio HERACLES condotto su pazienti affetti da tumore del colon-retto metastatico con il gene HER2 amplificato dimostrano il vantaggio derivante da una terapia farmacologica combinata a base di lapatinib e trastuzumab, noti per essere farmaci a bersaglio molecolare”, aggiunge Medico. “L’efficacia massima si osserva quando i livelli di HER2 sono molto alti. Tuttavia, ci sono anche molti casi di persone con tumore in cui HER2 risulta amplificato che non rispondono alla terapia. Ad essi si rivolge la nostra strategia”. Questo filone di ricerca potrebbe coprire il vuoto terapeutico di coloro che non riescono a ricevere benefici dal trattamento con lapatinib e trastuzumab o altri trattamenti standard. Inoltre, anche se ancora in via preliminare, il loro approccio potrebbe rivelarsi appropriato anche per il trattamento di altri tumori, come quello alla mammella o allo stomaco che presentano alti livelli di HER2.
Ma come si realizza questo effetto? Il segreto è nelle differenti caratteristiche dei due recettori. “Il CAR è una versione modificata di un recettore usato da diverse cellule del sistema immunitario, come i linfociti T e le stesse NK”, puntualizza Medico. “Una volta riconosciuto il suo antigene bersaglio, il CAR attiva una cascata enzimatica che amplifica diversi segnali e, alla fine, la cellula risponde uccidendo la cellula ad essa adiacente. La versione sintetica del recettore synNotch, invece, ha sempre una porzione esterna alla cellula che lega il bersaglio e una interna che, dopo l’ingaggio, viene tagliata, migra nel nucleo come fattore trascrizionale e da lì regola l’espressione dei geni bersaglio, e in questo caso del CAR”.
QUESTIONE DI PROSPETTIVA… E DI PRODUZIONE
Nella costruzione del loro protocollo i ricercatori hanno usato varie linee cellulari, tra cui le cellule NK-92, una linea derivata da un linfoma con un attività antitumorale innata molto elevata, trasdotte e poi irradiate con 5 Gy per bloccare la proliferazione senza compromettere la loro vitalità ed efficacia a breve termine (questo passaggio è necessario per l’uso clinico delle cellule NK-92, poiché, la loro espansione incontrollata potrebbe essere dannosa). “Nonostante l’irradiazione le cellule NK hanno conservato la loro attività e si sono dimostrate efficaci in tutti i modelli sperimentali realizzati”, aggiunge Cortese. “Siamo attualmente in grado di produrne in grandi quantità dal momento che si tratta di un prodotto off-the-shelf. Infine, queste cellule NK ci permetterebbero di trattare pazienti su larga scala e soprattutto senza ricorrere a regimi di chemioterapia linfodepletiva”.
L’obiettivo a lungo termine delle ricerche, finanziate dal 5x1000 del Ministero della Salute tramite Istituto di Candiolo, Alleanza Contro il Cancro e AIRC, è di poter infondere cellule NK così modificate nei pazienti il cui tumore del colon presenta entrambi i bersagli ad alti livelli. Per fare ciò occorrerà modificarle per renderle ancora più potenti senza che perdano la selettività.
“Un’altra prospettiva che ci poniamo è di poter lavorare con le NK primarie e anche derivate da cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC)”, conclude Cortese. “Oggi le sfide maggiori dell’immunoterapia adottiva sono date dall’ingegnerizzazione delle cellule T in vivo o dall’utilizzo di altri tipi di effettori primari diversi dalle cellule T o prodotti a partire dalle cellule iPSC. In questo modo non sarà necessario irradiarle e potranno essere prodotte in grandissima quantità”.
Una collaboratrice di Medico e Cortese, la studentessa di Dottorato Alice D’Andrea, sta già lavorando alla procedura di differenziamento e produzione delle NK derivate da iPSC negli Stati Uniti. Sebbene sia un esempio di ricerca traslazionale di alto livello, la terapia messa a punto a Candiolo è ancora nelle fasi iniziali: serviranno nuove risorse per proseguire gli studi preclinici e quindi saggiarne l’efficacia e la sicurezza in studi clinici. La direzione intrapresa è promettente e ciò motiva gli sforzi di tutti a proseguire l’impresa.