Un nuovo grave evento avverso riapre la discussione sulla sicurezza. Rendere più restrittiva la selezione dei pazienti è il primo passo, mentre rimangono dubbi sul limite della dose massima 

È di settembre la notizia della morte di un ragazzo affetto da miopatia miotubulare legata all'X che stava partecipando ad uno studio clinico progettato per testare la sicurezza e l’efficacia della terapia genica sperimentale AT132. Si tratta purtroppo del quarto decesso tra i pazienti arruolati nel trial clinico. I primi tre erano avvenuti tra marzo e agosto del 2020 (ne avevamo scritto qui) portando l’agenzia regolatoria statunitense (FDA) a sospendere la sperimentazione clinica. Lo studio era poi ripartito a dicembre dello stesso anno con una modifica della dose di trattamento, ridotta della metà. Per nessuno dei quattro giovani pazienti è stato chiarito il legame tra la loro morte e il trattamento con la terapia genica, ma il caso riapre la discussione su cosa sia opportuno fare per ridurre i rischi. 

IL NESSO CON LA TERAPIA GENICA  

Le informazioni divulgate fino ad oggi sul quarto ragazzo deceduto durante lo studio clinico di FaseI/II denominato ASPIRO – il primo e unico partecipante arruolato in seguito alla ripresa del trial dopo lo stop del FDA – mostrano somiglianze con i tre precedenti. Tutti hanno sviluppato danni epatici in seguito al trattamento con la dose più elevata della terapia genica (una delle più alte testate finora), che sono evoluti in una insufficienza epatica. La causa della morte in due dei partecipanti è stata la sepsi e nel terzo un’emorragia gastrointestinale. 

Al momento, Astellas Pharma - la società farmaceutica giapponese responsabile dello sviluppo clinico di AT132 - sta raccogliendo gli elementi per comprendere la causa dell’ultimo decesso e individuare un nesso con la terapia genica. “Indagheremo ed esamineremo tutti i risultati con il nostro comitato indipendente di monitoraggio dei dati, il nostro panel di esperti in ambito epatico e i ricercatori del trial clinico ASPIRO”, ha affermato Nathan Bachtell, a capo della divisione di sviluppo della terapia genica di Astellas. 

L’ORGANO PIÙ COLPITO  

La vicenda però ha fatto sorgere numerose domande tra gli esperti di terapie geniche e soprattutto “è un invito all’azione” come ha sottolineato Nicole Paulk, professore presso l'Università della California, che lavora nel campo delle terapie geniche. "Dobbiamo tutti iniziare a esaminare i dati clinici di cui disponiamo e impostare modelli preclinici su topi o primati non umani per cercare di capire quale sia il problema”. Anche se per l’esperto “ci deve essere un nesso con malattie epatiche preesistenti e/o attive”.

Il fegato è generalmente l’organo più soggetto a tossicità perché tra le varie funzioni ha anche quella di catturare e demolire le sostanze nocive con cui l’organismo entra in contatto. Anche le terapie geniche somministrate per via endovenosa, come altri farmaci, vengono elaborate dal fegato per poi svolgere la loro funzione. Normale quindi che questo sia l’organo più soggetto ad eventuali effetti collaterali.  

NON UN CASO ISOLATO 

Ma quanto accaduto durante lo studio clinico condotto da Astellas non è un caso isolato. Sono stati riportati anche due casi di insufficienza epatica acuta in pazienti trattati con la terapia genica per l’atrofia muscolare spinale e diversi pazienti trattati con la terapia genica per l’emofilia hanno registrato aumenti significativi della conta degli enzimi epatici, un segno potenzialmente preoccupante. In quei casi, tuttavia, gli effetti collaterali legati al fegato non sono stati fatali perché benigni o gestiti con i farmaci.

Inoltre sin dallo sviluppo delle prime terapie geniche si continua a monitorare il rischio di sviluppo di tumori, soprattutto con studi preclinici su modelli animali. Nei trial clinici non ci sono state evidenze a riguardo, a parte un paziente sottoposto a una terapia genica sperimentale per l'emofilia sviluppata dall’azienda biotech UniQure a cui, all’inizio del 2021 è stato diagnosticato un cancro al fegato. La terapia genica è stata sospesa, ma gli esperti della FDA hanno dichiarato il rischio solo teorico di una correlazione in quanto non ci sono evidenze finora che a causarlo sia stato proprio la terapia genica.  

LA FDA PROVA A RISPONDERE AI DUBBI 

In ogni caso per cercare di rispondere a questi interrogativi all’inizio di settembre la FDA ha convocato un comitato di esperti per discutere sulla sicurezza delle terapie geniche, focalizzandosi appunto sul rischio di sviluppare tumori e sui danni epatici. Il comitato ha proposto alcuni criteri per rendere la ricerca potenzialmente più sicura. Per esempio migliorare la selezione dei pazienti coinvolti negli studi clinici, accertandosi sin dal principio che non vi siano condizioni epatiche preesistenti che potrebbero avere un ruolo nell’insorgenza degli effetti collaterali. È stato suggerito inoltre di porre un limite alla dose massima somministrata di terapia genica (visto che gli effetti collaterali sono stati sempre associati a dosi più alte di trattamento), ma la maggior parte degli esperti si è detta contraria, citando tra l’altro incongruenze nel modo in cui viene misurata la quantità della dose. La discussione insomma è aperta e proprio da questi tragici eventi avversi potrebbero dare il via a sperimentazioni e terapie geniche ancora più sicure.

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