Tra le diverse terapie avanzate e di precisione, la terapia genica è una delle prime ad essere state ideate e ha l’obiettivo di trattare una patologia mirando direttamente alle sue basi genetiche. Il concetto base di questa strategia terapeutica è di fornire all’organismo una copia corretta del gene difettoso o un altro gene che possa compensarne il malfunzionamento nelle cellule colpite dalla malattia.
Esistono due principali modalità di somministrazione per la terapia genica:
Per veicolare il “gene terapeutico” all’interno delle cellule o dell’organismo si utilizzano generalmente dei vettori virali: ad oggi i più utilizzati sono i vettori virali adeno-associati (AAV).
Il potenziale della terapia genica è di enorme portata poiché potrebbe rappresentare una cura per tutta una serie di gravissime malattie per cui oggi non esistono valide opzioni terapeutiche o che richiedono terapie croniche. Ad oggi la ricerca nell’ambito della terapia genica spazia dalle malattie genetiche, in particolar modo quelle rare, al cancro, passando per le malattie autoimmuni e le malattie infettive.
Il concetto di terapia genica nasce alla fine degli anni ‘80 con le nuove tecniche del DNA ricombinante che permettono di costruire pezzi di DNA contenenti sequenze geniche desiderate. Ma è solo negli ultimi anni, con il sequenziamento del genoma e l’avanzare delle biotecnologie, che si sono cominciati a vedere i primi importanti risultati nelle sperimentazioni sull’uomo e le prime terapie geniche autorizzate dall’European Medicines Agency (EMA) in Europa e della Food and Drug Administration (FDA) negli Stati Uniti. In questo ambito l’Italia ha una posizione di eccellenza a livello internazionale: sono diverse le terapie avanzate frutto di ricerche all'avanguardia "made in Italy".
Il 20 giugno Sarepta Therapeutics, l’azienda che produce delandistrogene moxeparvovec-rokl (nome commerciale Elevidys), ha annunciato l’autorizzazione da parte della Food and Drug Administration (FDA) statunitense dell’ampliamento dell’indicazione d’uso della terapia genica per la distrofia muscolare di Duchenne (DMD). Grazie a questa autorizzazione potranno essere inclusi tutti i pazienti affetti da DMD di età superiore ai 4 anni, a prescindere dallo stato di deambulazione, con l’unica esclusione dei pazienti che presentano delezioni nell’esone 8 e/o 9 del gene della distrofina. Elevidys era stata precedentemente approvata negli Stati Uniti con procedura accelerata per bambini, deambulanti, di età compresa tra i 4 e i 5 anni affetti da DMD con mutazione confermata nel gene della distrofina.
Lo studio di Fase III CIFFREO, randomizzato e controllato con placebo, non ha raggiunto il cosiddetto endpoint primario, che nel progetto del trial prevedeva un miglioramento della funzionalità motoria nel gruppo di pazienti che ha ricevuto la terapia genica sperimentale fordadistrogene movaparvovec, sviluppata da Pfizer, rispetto a quello trattato con il placebo. Pochi giorni fa, l’azienda farmaceutica ha dichiarato che intende condividere i risultati più dettagliati dello studio in occasione dei prossimi incontri con medici e pazienti, al fine di "contribuire a migliorare la ricerca clinica futura" e a migliorare la vita dei bambini affetti da distrofia muscolare di Duchenne (DMD). Lo studio CIFFREO era stato sospeso di recente a causa di un evento avverso fatale nello studio di Fase II DAYLIGHT.
Opal Sandy è nata priva della possibilità di udire i suoni in seguito a una neuropatia uditiva di origine genetica (è opportuno non dimenticare quest’ultimo particolare): si tratta di una condizione capace di interrompere la trasmissione degli impulsi nervosi che dall’orecchio interno giungono al cervello. Fortunatamente, grazie all’infusione di una terapia genica sperimentale effettuata nell’ambito di uno studio clinico, Opal ha potuto sentire le voci di mamma e papà e adesso, addirittura, si diverte a giocare con dei tamburi giocattolo. La notizia di questo importante risultato è rimbalzata sui maggiori organi di stampa, non sempre in maniera corretta, quasi a voler suggerire che possa presto essere disponibile una terapia “per far udire i sordi”. Ma è davvero così? Prima di saltare a facili conclusioni occorre riflettere su alcuni particolari non trascurabili, Osservatorio terapie Avanzate fa un po’ di chiarezza.
Il tracciato normale di un elettrocardiogramma - in assenza di anomalie cardiache - ripropone ciclicamente il medesimo andamento che descrive le fluttuazioni nei potenziali d’azione delle singole fibre del cuore. Quel peculiare disegno è la rappresentazione di ogni battito che il cuore produce. Ma le cellule del cuore - i cardiomiociti – con il tempo invecchiano, perdono la loro capacità di contrarsi e, infine, muoiono come tutte le altre cellule del corpo: ciò è causa di patologie potenzialmente gravi, come lo scompenso cardiaco. La ricerca scientifica si sta adoperando per capire come interrompere - o correggere - tale processo di decadimento e, tra gli approcci di terapia genica in fase di sviluppo preclinico, c’è quello ideato da Paola Cattaneo, ricercatrice di ruolo del CNR e Group leader presso l’IRCCS Centro Cardiologico Monzino.
È della settimana scorsa la notizia del decesso di un piccolo paziente che stava partecipando al trial clinico di Fase II DAYLIGHT, una sperimentazione con la terapia genica fordadistrogen movaparvovec per la distrofia muscolare di Duchenne. Lo studio è condotto da Pfizer ed è in corso negli Stati Uniti e in Australia. L’azienda - che ha comunicato il tragico evento tramite una lettera alla comunità - ha sospeso temporaneamente le somministrazioni della terapia nei pazienti, inclusi quelli coinvolti nello studio CIFFREO che riguarda bambini più grandi e attivo anche in Italia. Il paziente, che aveva un’età tra i 2 e i 3 anni circa e la cui identità non è stata resa nota, aveva ricevuto la terapia genica sperimentale all’inizio del 2023 e attualmente non ci sono conferme sulle cause della morte, l’ipotesi più probabile è quella di un problema cardiaco.
“Ricordate che tutti i modelli sono sbagliati; la domanda pratica è quanto devono essere sbagliati per non essere utili”. Questa frase dello statistico britannico George Box è un costante promemoria del fatto che nella ricerca non esiste il modello “giusto”, ma solo modelli che riproducono più o meno fedelmente la realtà. Questo concetto risuona in uno studio pionieristico pubblicato recentemente su Nature Communications dagli scienziati del Children’s Medical Research Institute (CMRI) in Australia. I ricercatori hanno testato una terapia genica su un intero fegato umano, mantenuto in vita fuori dal corpo umano grazie a una macchina di perfusione normotermica. Al contrario delle linee cellulari o dei modelli animali, questo sistema riproduce la reale complessità del fegato umano ed è un prezioso strumento per testare nuove terapie. Un traguardo scientifico importante, di cui parliamo a pochi giorni dal World Liver Day (19 aprile), un’iniziativa delle società scientifiche di epatologia internazionali per sensibilizzare la popolazione sull’importanza del fegato.
a cura di Anna Meldolesi
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