CAR-T, produzione, manifattura

Crescono le indicazioni per cui le CAR-T sono approvate e, di conseguenza, servono nuove strategie per ottimizzare i processi produttivi e garantire accesso ai pazienti 

Quello delle terapie a base di cellule CAR-T è ormai un pianeta dalle notevoli dimensioni che orbita nella galassia delle terapie avanzate: sono sei i prodotti sbarcati sui mercati statunitense ed europeo negli ultimi 5 anni, con indicazioni in costante aumento. Le CAR-T stanno riuscendo lì dove la chemioterapia aveva fallito, ottenendo l’approvazione degli organi regolatori contro le forme recidivanti o resistenti a più linee di trattamento di leucemia linfoblastica acuta (ALL), linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) e mieloma multiplo. Man mano che nuovi risultati giungono dagli studi clinici in corso il ventaglio delle indicazioni d’uso si allarga e cresce il numero di pazienti che può accedere a queste innovative terapie. Ciò solleva un serio problema di produzione che, senza utili soluzioni e strategie efficaci, potrebbe costituire una reale limitazione all’accesso. Una review pubblicata sulla rivista Nature analizza l’attuale quadro proponendo due nuove vie di produzione e distribuzione.

IL COLLO DI BOTTIGLIA NELLA PRODUZIONE DELLE CAR-T

Come abbiamo spiegato anche nel primo volume del progetto “Cell Therapy Open Source”, il processo produttivo delle CAR-T - concettualmente collocate a metà strada tra terapia genica e cellulare poiché consistono in una modifica genetica dei linfociti T prelevati ai pazienti e ad essi di nuovo somministrati nel tentativo di contrastare la diffusione delle cellule cancerose - è assai complesso. Attualmente, tutte le CAR-T in commercio sono ottenute al termine di un processo di produzione centralizzato, secondo il quale il materiale prelevato ai pazienti viene inviato presso poche officine produttive altamente specializzate e fa ritorno in media dopo un periodo di 16-30 giorni ai pazienti in attesa. Purtroppo, durante questo periodo le condizioni cliniche di molti di essi peggiorano - stiamo pur sempre parlando di malati oncologici gravi, oberati da più linee di trattamento e per i quali non esiste alternativa di cura alle CAR-T. Ovviamente, con l’espansione delle indicazioni d’uso e l’aumento del numero di malati potenzialmente trattabili con le CAR-T, la spada di Damocle si sposta sul comparto produttivo correndo il rischio che vengano a mancare i materiali e aumentino i tempi necessari alla produzione. E con essi la probabilità di fallimento terapeutico.

DUE SISTEMI A CONFRONTO 

Per evitare tutto ciò servono nuove strategie manifatturiere. Infatti, come abbiamo già illustrato in questo articolo, esistono officine produttive collocate presso strutture specializzate che rispondono alle GMP (norme di buona fabbricazione) ed esistono sistemi cosiddetti “point-of-care” che sfruttano strumenti automatizzati e chiusi in combinazione con gli isolatori per conservare la sterilità dei prodotti e consentire, in tal modo, una produzione “localizzata”, presso la medesima struttura sanitaria che ospita i malati. In entrambi i casi deve esser allestito un sistema di qualità farmaceutica al fine di garantire la conformità del prodotto finale a tutti gli standard di legge. Ultimo - ma non trascurabile - è la definizione legale del prodotto: in Europa, ad esempio, le CAR-T sono classificate come ATMP e la loro distribuzione deve necessariamente ricevere il disco verde dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA). Pertanto, come ha già spiegato in un’intervista Osservatorio Terapie Avanzate la dottoressa Francesca Bonifazi, Direttore del Programma di Terapie Cellulari presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, anche la scelta delle strutture in grado di somministrare queste complesse terapie deve fondarsi sul riconoscimento di criteri di elevato profilo, atti a definire la qualità e l’esperienza del centro.

NUOVE POTENZIALI SOLUZIONI… 

Appare chiaro di come il sistema di produzione e accesso risenta della combinazione di tutti questi fattori e - come riportano su Nature Elsallab e Maus, ricercatori del Cancer Center presso il Massachusetts General Hospital di Boston - le autorità regolatorie statunitensi, inglesi ed europee stanno lavorando alla stesura di documenti legislativi volti a incoraggiare una diversa distribuzione delle fasi produttive. In tal senso i modelli proposti possono essere riassunti e suddivisi in due gruppi: percorsi centralizzati o sistemi di esenzione dalle normative vigenti. Cosa significa tutto ciò?

In un modello centralizzato strutture sanitarie diverse potrebbero condividere i medesimi protocolli di produzione delle CAR-T per ottenere un prodotto da testare all’interno di uno studio clinico multicentrico. Successivamente alla valutazione dei dati aggregati di sicurezza ed efficacia, l’autorità regolatoria potrebbe rilasciare più autorizzazioni al commercio specifiche per i vari siti produttivi. Si tratta di un sistema manifatturiero che permetterebbe di disporre di più “officine produttive” ma richiede un efficiente organo di coordinamento centrale per il monitoraggio delle varie fasi di produzione e per l’analisi dei dati condivisi. In più solleva il problema di quali requisiti di qualità siano da adottare per un confronto tra i vari prodotti. La centralizzazione dei protocolli di produzione e delle logiche di controllo della qualità è, dunque, un prerequisito essenziale per il buon funzionamento di questo sistema, ma la differenza in termini di capacità produttiva tra i vari centri potrebbe esser un ostacolo da superare (magari con l’introduzione di criteri di qualità minimi).

A differenza di ciò, in un sistema di esenzione dalle normative vigenti ogni Paese può concedere a una data struttura sanitaria la possibilità di produrre una terapia avanzata localmente - ma sempre sotto il cappello di stringenti criteri di qualità. A patto che essa sia personalizzata, perciò destinata all’unico paziente a partire da cui è stata prodotta, e somministrata sotto rigorosa supervisione medica. Risulta scontato che, anche in questo caso, i produttori si debbano rifare a standard di qualità condivisi per dare garanzia di efficacia al prodotto e di sicurezza del paziente. 

…E METODI PER RENDERLE CONCRETE

Come rendere questi modelli applicabili? Elsallab e Maus riportano alcune considerazioni generali a partire dall’opportunità di stabilire collaborazioni con organismi quali la Foundation for Accreditation of Cellular Therapies (FACT), la Joint Accreditation Committee of the International Society for Cell and Gene Therapy e l’European Society for Blood and Marrow Transplantation in maniera tale che vigilino sui processi produttivi e controllino che le varie fasi del processo siano svolte in accordo agli standard di produzione discussi e approvati. L’aderenza a tali principi costituisce una conditio sine qua non per il mantenimento dello status di centro manifatturiero.

In tal modo l’incremento della produttività potrebbe diventare sostenibile. Senza contare che una maggiore uniformità di produzione può esser raggiunta anche con il ricorso alle nuove tecnologie, come i modelli digitali che simulano un dato evento o un processo biologico, allo scopo di monitorare meglio ogni stadio della nascita di una terapia avanzata. “Tali sistemi”, affermano gli autori della review, “potrebbero concorrere al mantenimento di una buona tempistica degli slot di produzione in base all’aumento della domanda di nuove terapie, nonché alla gestione dei colli di bottiglia nella catena di approvvigionamento, riducendo i ritardi di produzione delle CAR-T”. Infine, non si può trascurare l’importanza di una consolidata conoscenza derivante anche dalle limitazioni delle CAR-T: in passato sono stati aperti programmi di accesso gestito per tisagenlecleucel e axicabtagene ciloleucel “fuori specifica”, cioè prodotti con una vitalità cellulare inferiore alla soglia di accettazione. Tuttavia, la sicurezza dei prodotti era confermata e da ciò consegue che maggiori studi sono necessari per valutare la possibilità di ampliare i criteri di accettabilità di una terapia a base di cellule CAR-T. 

Bisogna dunque trovare un equilibrio tra le molte considerazioni cliniche e scientifiche e i limiti normativi attuali, tale da consentire una flessibilità sufficiente a permettere un balzo produttivo. “Il modello di sviluppo cooperativo”, concludono Elsallab e Maus, “potrebbe rappresentare un’opportunità unica per i centri clinici accademici di ottenere approvazioni di commercializzazione per prodotti sviluppati localmente e, alla fine, per la produzione point-of-care. Sfortunatamente, questo modello limita i prodotti in fase di sviluppo o che non hanno la redditività commerciale necessaria per sostenere una piena approvazione della commercializzazione”. 

Dall’utilizzo delle nuove tecnologie per rendere più agile e dinamica la produzione fino alla discussione dei termini di rimborso delle CAR-T (e, più in generale, delle terapie avanzate) sono numerosi i quesiti ancora sul piatto a cui tocca trovare risposta. Nel frattempo il numero di pazienti che potrebbe beneficiare da questi innovativi trattamenti cresce, conferendo al tema della manifattura una rilevanza che non può essere più considerata secondaria ma che richiede nuove soluzioni da adottare al più presto.

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