Team prof.ssa Cereseto

La prof.ssa Anna Cereseto, del CIBIO di Trento, racconta gli ultimi successi della ricerca di base su Crispr-Cas9 nell’ambito della patologia ma anche i limiti dei sistemi di delivery

Dall’editing del genoma agli acidi nucleici terapeutici, lo studio delle terapie avanzate per la fibrosi cistica procede a ritmo sostenuto. Sono diversi infatti i progressi compiuti negli ultimi anni per questa malattia, anche grazie all’avvento della rivoluzionaria tecnica di modifica del genoma CRISPR, fresca di Premio Nobel per la chimica. Lo racconta Anna Cereseto, del Dipartimento di Biologia Integrativa Computazionale Cellulare (CIBIO) dell’Università di Trento, insieme alla collega Giulia Maule e Daniele Arosio del CNR di Trento, in una review pubblicata lo scorso maggio su International Journal of molecular sciences. Puntando anche il dito su quello che sembra l’ultimo ostacolo per arrivare ai pazienti: il delivery della terapia.

LE MUTAZIONI DEL GENE CFTR

Il gene incriminato nell’insorgenza della fibrosi cistica è il regolatore transmembrana CFTR (cystic fibrosis transmembrane regulator), che contiene le “istruzioni” per un canale del cloruro situato nelle cellule epiteliali. Il suo malfunzionamento, causato da una moltitudine di mutazioni distribuite lungo il gene CFTR, porta a disfunzioni multiorganiche, particolarmente importanti nel polmone, fino a morte precoce per insufficienza respiratoria. Al momento non esiste una cura definitiva e per più di sette decenni le terapie per la fibrosi cistica sono state limitate al trattamento dei sintomi piuttosto che provare ad “aggiustare” il gene CFTR alterato. Una terapia genica mirata ai polmoni potrebbe puntare a correggere qualsiasi alterazione alla base della malattia e fornire una soluzione permanente. Anche perché nonostante si tratti di una patologia multiorgano, il miglioramento delle manifestazioni respiratorie potrebbe comportare un significativo miglioramento della qualità della vita del paziente e una diminuzione della mortalità.

LA LUNGA STORIA DELLA TERAPIA GENICA

I tentativi per mettere a punto una terapia genica efficace contro la fibrosi cistica iniziarono già nel 1989, in seguito all’identificazione e all'isolamento del gene CFTR, facendo emergere quelle che ancora oggi sono i principali ostacoli e sfide per l’applicazione clinica di questi approcci terapeutici. Come spiega Cereseto, questi sono: il muco presente nei polmoni, principale organo target, che crea una barriera impedendo di raggiungere le cellule da modificare; la risposta immunitaria ai vettori virali o a metodiche di delivery (ovvero di rilascio) non virali; la mancanza di target cellulari chiaramente definiti. Infine non meno importante, il fatto che l'epitelio delle vie aeree si rinnova costantemente, impedendo alle cellule “corrette geneticamente” di durare nel tempo. “Il polmone è difficile da raggiungere – commenta la prof.ssa Cereseto – perché le cellule epiteliali sono in continua divisione e anche se riusciamo a modificarle poi si perdono. L’epitelio infatti continua a rigenerarsi impedendo una modifica definitiva. Dovremmo raggiungere le cellule staminali, che si differenziano poi in cellule dell’epitelio polmonare, ma non è facile. Qualche collega sta anche proponendo di reimpiantare le cellule, ma siamo ancora in una fase precoce della strategia”.

I PROGRESSI DELL’EDITING GENOMICO

Nonostante rimanga l’ostacolo di un efficiente delivery della terapia genica al sito target, le tecniche di correzione delle mutazioni continuano però a fare grossi passi avanti. Il primo venne compiuto subito dopo la scoperta del DNA e della sua struttura, quando fu chiaro che un passaggio chiave per modificare il genoma è la generazione di rotture del doppio filamento del DNA nei siti target. In seguito ad essa infatti le cellule possono rispondere con due diversi meccanismi di riparazione del genoma per prevenire la morte cellulare: l'unione dell'estremità non omologa o la riparazione omologo-diretta. La prima genera l'inserimento e la delezione (eliminazione) di lunghezze variabili del DNA, che sono difficilmente prevedibili anche con i più recenti strumenti di calcolo quando indotte da sistemi di modifica del genoma. La seconda invece consente di introdurre la modifica desiderata nella sequenza target, inserendo sequenze “donor” specifiche, mediante ricombinazione. Questa tecnica però non è ampiamente sfruttata per manipolare il genoma a causa della bassa frequenza dell’efficienza del processo nelle cellule di mammifero, che genera al massimo una cellula modificata su un milione.

LA SPINTA DI CRISPR

Nella review, i ricercatori ricordano anche gli strumenti che negli anni si sono susseguiti per l’editing del genoma: dalle meganucleasi a taglio raro (come le I-SceI), usate per potenziare la sostituzione genica con sequenze donor; alle nucleasi a dita di zinco (Zinc Finger Nucleases, ZFN) e TALEN, che hanno facilitato altamente le scissioni nucleasiche mirate. Fino ad arrivare a Crispr-Cas9 che ha superato tutti i limiti delle tecniche precedenti – come la complessa e ingombrante ingegneria delle proteine alla base della produzione degli strumenti di editing genomico – dando una grossa spinta al campo della terapia genica. Grazie anche alla semplicità nel design del target, l'elevata specificità ottenuta con lo sviluppo di varianti ad alta fedeltà e il basso costo. “Le strategie di modifica del genoma si sono ampliate notevolmente grazie a CRISPR e alla versatilità dei moduli di proteine e RNA guida (gRNA)”, afferma Anna Cereseto. “Per esempio sono stati sviluppati base editor per la modifica di singoli nucleotidi e il prime editing, in alternativa alla tecnica di riparazione omologa-diretta”.

LE MUTAZIONI DA CORREGGERE

“Siamo andati molto avanti nel correggere le mutazioni puntiformi, che generano alterazioni di singoli nucleotidi in diversa maniera”, continua Cereseto. “Per esempio sono stati condotti molti lavori, anche del nostro team, per eliminare quei nucleotidi che alterano gli splicing a livello intronico. In questo caso l’editing è più semplice perché si possono ‘tagliare’ i difetti che causano l’alterazione senza disturbare il gene. Meno è stato fatto invece per la mutazione più frequente, la ΔF508, perché si trova proprio in mezzo a un esone, la parte che codifica per la proteina che è alterata”. L’unico strumento che esisteva fino a oggi, come ricorda Cereseto, era la ricombinazione omologa già citata, cioè il fornire alla cellula una copia del DNA corretto – l’esone – e stimolarla a sostituire la sequenza mutata con quella corretta. Stimolo che funziona molto bene con CRISPR, che permette di generare un taglio in un punto preciso in prossimità della mutazione, dove poi la cellula interviene per riparare il DNA con il genoma corretto. “CRISPR aumenta la probabilità che avvenga lo scambio del DNA sbagliato con quello corretto”, precisa Cereseto, la quale sottolinea però, come fino a ora questi approcci per correggere la mutazione ΔF508 siano stati testati solo in laboratorio, in vitro, in cellule staminali che sono state differenziate in epiteliali. ’esperimento non è mai stato condotto in maniera molto efficiente e per di più mai in vivo.

NUOVE TECNOLOGIE

L’ultima novità è il prime editing, una tecnologia sempre “firmata” CRISPR, che dovrebbe favorire la modifica di intere sequenze geniche. “In questo caso CRISPR trasporta il pezzo di RNA che è la copia giusta del frammento di DNA che è mutato. Questo RNA viene copiato in DNA e inserito nel punto in cui c’è la delezione”, spiega l’esperta. Diversi laboratori, tra cui quello di Cereseto del CIBIO, la stanno testando e ad ottobre è stato pubblicato uno studio in preprint su bioRxiv, che dimostra che in una piccola percentuale di organoidi queste tecnica riesce a indurre la sostituzione. Certo, si tratta di un lavoro che non è stato sottomesso alla revisione degli esperti (peer review) ed è da prendere come tale, ma è indice del fermento del settore, che ha già dimostrato come nel campo della fibrosi cistica l’editing genomico sia uno strumento molto valido per riparare mutazioni di diverso tipo, più o meno frequenti.

UN PROBLEMA COMUNE

Resta però il problema del delivery, che purtroppo (o per fortuna) è comune anche ad altre terapie geniche. Per fortuna perché: “C’è un grande entusiasmo generato dal genome editing per la cura di diverse malattie, da quelle infettive ai tumori, e l’ostacolo del delivery sta diventando talmente importante in diversi ambiti, e sono talmente tanti i gruppi attivi nel cercare di risolverlo, che sono certa che alla fine si arriverà a una soluzione”, dichiara Cereseto. “Anche per la fibrosi cistica”. Per esempio, molte ricerche sono concentrate anche su sistemi non virali, come nanoparticelle, composti chimici, lipidici, cationici ecc, che possono riuscire a portare CRISPR nel punto desiderato. “C’è un interesse trasversale del mondo accademico e industriale per trovare il modo per portare questi sistemi di riparo – conclude - Perciò penso che alla fine riusciremo a mettere a punto una terapia genica”.

Con il contributo incondizionato di

Website by Digitest.net



Questo sito utilizza cookies per il suo funzionamento Maggiori informazioni