Scienziati

Ricorrendo a tecniche di editing del genoma un gruppo di ricerca finlandese ha studiato quali molecole possono aumentare l’effetto terapeutico delle CAR-T limitandone gli effetti collaterali.

La storia dell’oncologia insegna che la ricerca di “un’unica cura contro tutti i tipi di tumore” è un po’ come la ricerca della pietra filosofale. È uno slogan che medici e ricercatori di tutto il mondo sanno bene non avere attinenza con la realtà che punta, invece, a combinazioni di farmaci e strategie terapeutiche per giungere alla tanto agognata vittoria. Così anche adesso, con l’approvazione delle terapie CAR-T, non basta pensare di produrre e somministrare ai pazienti le cellule ingegnerizzate contando unicamente su un loro successo garantito, ma serve predisporre la strada a questi “superlinfociti”, facilitandone l’azione e anche limitandone i possibili effetti avversi.

È da questa angolazione che sono partiti gli studiosi finlandesi che hanno pubblicato, lo scorso dicembre sulle pagine della rivista Blood, un’interessante ricerca nella quale hanno cercato di capire quali famaci possano aumentare gli effetti terapeutici delle CAR-T e che cosa, al contempo, possa contribuire a ridurre le probabilità di insorgenza di effetti collaterali come la sindrome da rilascio di citochine. Tutto ciò sono riusciti a farlo ricorrendo a tecniche di editing del genoma quali Crispr-Cas9 e focalizzandosi sullo studio delle proprietà chimiche e fisiche di varie molecole in relazione alle modalità di produzione e assorbimento. Quello che viene definito comunemente “drug profiling”.

“Nonostante i buoni risultati del trattamento, la terapia CAR-T non è efficace in tutti i pazienti e, in certi casi, può sollevare effetti collaterali”, afferma la prof.ssa Satu Mustjoki dell’Università di Helsinki, leader del gruppo di ricerca. In effetti queste innovative terapie oncologiche risultano estremamente delicate sia sul piano d’azione che su quello della preparazione: in quest’ultimo caso i pazienti candidati devono sospendere eventuali altre terapie allogeniche o immunosoppressive prima del processo di raccolta delle cellule da ingegnerizzare e, soprattutto, devono essere accuratamente monitorati prima e durante l’infusione. La conta dei linfociti, ad esempio, è un parametro fondamentale per la prosecuzione e il successo della terapia CAR-T. Non bisogna, infine, dimenticare la sfera dei possibili effetti collaterali: oltre alla già citata sindrome da rilascio delle citochine tra quelli più noti figurano la neurotossicità, le disfunzioni d’organo, la febbre e l’encefalopatia. Tutto ciò serve a far capire che il potenziale d’azione delle CAR-T è molto elevato ma che, al contempo, bisogna studiare ogni modo possibile per favorirne il successo, combinandone l’effetto con farmaci che ne amplifichino l’efficacia e/o con altri che limitino i cosiddetti “effetti off-target” da cui potrebbero generarsi situazioni clinicamente serie.

Lo studio di Mustjoki, che ha ricevuto il sostengo della Cancer Foundation, della Sigrid Jusélius Foundation e della Relander Foundation, ha esaminato più di 500 possibili molecole per giungere all’identificazione di farmaci capaci di rendere le cellule tumorali più sensibili all’azione delle CAR-T. In tal senso è stato possibile osservare che farmaci della categoria degli SMAC mimetici - ovvero quelle molecole che agiscono ripristinando nelle cellule tumorali il meccanismo dell’apoptosi (meccanismo di morte cellulare programmata) - hanno un’azione sinergica con le cellule CAR-T. Inoltre, grazie alle ricerche condotte usando Crispr-Cas9 essi hanno visto che la trasmissione dei segnali di morte ai recettori di superficie trova in alcuni specifici geni (e di conseguenza nelle proteine da essi codificate) i mediatori chiave per l’azione delle cellule CAR-T, facendo chiarezza sul meccanismo di sensibilizzazione permesso dagli SMAC mimetici.

Le vie di trasmissione dei segnali di morte cellulare, oltre a essere modulabili, possono variare a seconda delle forme di malattia e questo conferisce un rilievo particolare agli studi di genetica in relazione al tipo di tumore contribuendo, in ultima analisi, alla scelta delle molecole da somministrare in combinazione alle CAR-T. Sulla base dei risultati dello studio finlandese, i mimetici SMAC potrebbero essere utilizzati per rendere più deboli le cellule cancerose nei confronti dei processi di morte cellulare scatenati dalle cellule CAR-T.

Qualora i risultati emersi fossero confermati da ulteriori ricerche, i mimetici SMAC potrebbero essere utilizzati per migliorare gli effetti della terapia con le cellule CAR-T. “Lo studio ha prodotto un ampio volume di dati relativi all’effetto dei farmaci antitumorali sulla funzione delle cellule T, che sono essenziali per le immunoterapie”, conclude Olli Dufva dell’Università di Helsinki, uno degli studiosi che ha preso parte alla ricerca. “Questi dati possono essere utilizzati quando si pianifica la combinazione di farmaci antitumorali con terapie che attivano il sistema immunitario”. Un’efficace testimonianza di come la malattia possa essere aggredita su più fronti, ricorrendo anche a schemi terapeutici consolidati che rendano più deboli le cellule tumorali, favorendo in tal modo il ricorso alle nuove terapie avanzate.

 

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