Un po’ come un rubinetto che ci permette di regolare il flusso di acqua desiderato, così un gruppo di ricercatori dello Scripps Research in Florida, ha messo a punto un “interruttore molecolare” che, se incorporato nelle terapie geniche, potrebbe permettere di regolarne l’attività. La ricerca preclinica, pubblicata lo scorso dicembre su Nature Biotechnology, è stata condotta su modelli animali e ha fornito risultati positivi, che se confermati in ulteriori studi potrebbero offrire la prima soluzione per regolare la dose dei geni terapeutici. Risolvendo cosi un problema di sicurezza che finora ha limitato la diffusione di nuove terapie geniche.
Punti di forza e punti critici sono intrinsechi di ogni fatto, persona o cosa. Le terapie CAR-T non escluse. Da quando sono arrivate sul mercato statunitense nel 2017 infatti, la comunità scientifica oltre a decantarne i vantaggi, ha continuato a lavorarci per migliorarle ulteriormente ed estenderne ancora le potenzialità. Un punto particolarmente importante su cui diversi gruppi di ricerca sono impegnati è la sicurezza, che può ancora essere migliorata. Proprio su questo fronte alcuni scienziati dell’Università della Pennsylvania hanno sviluppato di recente un sistema sperimentale per produrre cellule CAR-T meno tossiche, sfruttando per la manipolazione genetiche nanoparticelle che veicolano l'RNA messaggero (mRNA), anziché il classico virus contenente il DNA.
Utilizzare una versione di CRISPR più precisa e sicura su organoidi derivati da pazienti affetti da fibrosi cistica per correggere quattro mutazioni che provocano questa complessa patologia. In estrema sintesi è questo ciò che un gruppo di ricercatori olandesi dell’Hubrecht Institute e dell’Università di Utrecht è riuscito a fare ed è stato descritto nell’articolo scientifico pubblicato lo scorso 20 febbraio sulla rivista Cell Stem Cell. Una ricerca affascinante che ha per protagonisti CRISPR, il più sofisticato strumento di editing del genoma, la fibrosi cistica, la più diffusa malattia genetica a prognosi severa, e gli organoidi, il paradigma di modello cellulare più studiato degli ultimi anni.
Il numero dei contagiati da coronavirus 2019 n-CoV (ora ufficialmente rinominato SARS-CoV-2) nel mondo, e ormai anche in Italia, cresce di giorno in giorno e mentre i medici e il personale sanitario stanno mettendo in atto le misure a disposizione per combattere e arginare l’infezione, i ricercatori di tutto il mondo sono impegnati nel trovare una terapia efficace e mettere a punto un vaccino. Ricerche che richiederanno tempi dilatati, soprattutto per il vaccino (la stima è di almeno 12-18 mesi), poiché dovranno ottemperare agli standard di sicurezza ed efficacia imposti dalle autorità regolatorie. Nel frattempo stanno fiorendo gli studi clinici imperniati su possibili soluzioni terapeutiche.
a cura di Anna Meldolesi
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