Un modo curioso di riassumere l’aumento delle conoscenze sulla geografia del pianeta Terra potrebbe consistere nel metter insieme tutte le mappe prodotte dalle antiche civiltà sino ai giorni nostri. Dalla cartografia greca e romana fino alle immagini del telescopio Hubble, la configurazione dei continenti muta in maniera radicale. E con essa il punto di vista di chi guarda oltre che le tecnologie impiegate in quest’operazione. Analogamente, la decifrazione del codice genetico umano risente delle nostre capacità tecnologiche e, come dimostra il lavoro di un gruppo di ricerca internazionale pubblicato come preprint su bioRxiv e in attesa di revisione da parte della comunità scientifica, ancora oggi è oggetto di perfezionamento.
Durante la pandemia di COVID-19, diversi progetti di ricerca sono stati avviati con l’obiettivo di comprendere la natura, la prevalenza e la diffusione della disinformazione relativa alla salute. L’emergenza sanitaria, infatti, ha reso più evidente questa problematica che, da anni, affligge il web. Fino ad oggi, però, pochi sono stati gli studi capaci di delineare il profilo dell’utente vittima della disinformazione. Per colmare questa lacuna, un team di ricercata statunitense ha condotto un’indagine originale per comprendere meglio quali siano le caratteristiche delle persone più vulnerabili a credere alle “fake news” in ambito sanitario, e se questa tendenza dipenda dall’argomento trattato. Lo studio è stato pubblicato su American Journal of Public Health.
“Se hai avuto un contatto con una persona positiva al COVID-19 o accusi i sintomi della malattia (soprattutto tosse, febbre e indolenzimento) devi fare il tampone”. Probabilmente questa è una delle frasi più ripetute in questo anno di pandemia ed è difficile trovare qualcuno che, ad oggi, non sia ancora mai ricorso al famoso tampone. Nonostante ciò, molte persone fanno ancora confusione tra test molecolare, antigenico e sierologico, e ricorrere al test sbagliato – in un momento in cui il conteggio dei nuovi positivi rimane terribilmente alto e bisogna continuare a mirare a diagnosi, isolamento e cure tempestive – può creare gravi danni. Per questo motivo Osservatorio terapie Avanzate ha realizzato un’infografica (scaricabile QUI) che illustra in maniera semplice le differenze tra i vari test, diagnostici ed epidemiologici, per l’identificazione del virus SARS-CoV-2.
La scoperta di una nuova cellula del tessuto osseo ribattezzata “osteomorfo” abbatte un dogma sul ciclo vitale dell’osso e apre nuove prospettive per il trattamento delle più comuni malattie dello scheletro. Grazie a una sofisticata tecnica di microscopia in vivo, un team di oltre quaranta ricercatori ha osservato per primo questo nuovo tipo di cellula nei topi. Gli osteomorfi derivano dal riciclo degli osteoclasti, le cellule responsabili del riassorbimento del tessuto osseo. Ma hanno una firma genetica unica e diversa dai loro precursori, che è stata associata ad aspetti strutturali e funzionali dello scheletro e a patologie come l’osteoporosi. Lo studio è stato pubblicato a febbraio su Cell.
a cura di Anna Meldolesi
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