Come evidenziato dal retreAT, il progetto di policy shaping di Osservatorio Terapie Avanzate, la sostenibilità delle terapie avanzate - mantra di questi ultimi anni - passa anche dall’ottimizzazione della produzione di questi innovativi ma complessi farmaci. Sta infatti crescendo l’attenzione rivolta al tema del processo manifatturiero, strettamente vincolato a quello della creazione di nuovi accordi tra le startup che sviluppano un candidato farmaco e i produttori che oltre a seguirne la produzione si occupano anche di alcuni aspetti della loro distribuzione. Tuttavia, l’impennata degli studi clinici riguardanti prodotti di terapia genica e cellulare sta superando le capacità produttive dei componenti essenziali di questi processi terapeutici dilatandone i tempi di sviluppo e allungandone il cammino verso il mercato (e di conseguenza verso i pazienti).
È di pochi giorni fa la notizia che la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha approvato beremagene geperpavec (B-VEC, nome commerciale Vyjuvek™), una terapia genica basata sul vettore del virus herpes-simplex di tipo 1 (HSV-1), per il trattamento di ferite in pazienti affetti da epidermolisi bollosa distrofica (DEB) con mutazioni nel gene del collagene di tipo VII catena alfa 1 (COL7A1). Beremagene geperpavec è autorizzato per i pazienti affetti da DEB di età pari o superiore a sei mesi. La terapia genica è un gel topico che ripristina le copie funzionali del gene COL7A1 per garantire la guarigione delle ferite e l'espressione funzionale della proteina COL7 a ogni somministrazione.
Il nemico da temere di più è sempre quello che non si vede: questo vale tanto per alcuni tumori le cui manifestazioni cliniche si rendono evidenti solo nelle fasi già avanzate di malattia, quanto per le infezioni virali, come quelle suscitate dall’HIV o dal virus dell’epatite B che colpiscono milioni di persone nel mondo. Nonostante i progressi in campo terapeutico, non sono ancora state eradicate. In una review pubblicata sulla rivista The New England Journal of Medicine un gruppo di ricercatori dello University College e del King's College Hospital di Londra ha riassunto lo status quo relativo sia alle moderne metodiche di individuazione del virus e diagnosi della malattia, sia alle promesse terapeutiche per contenere l’infezione. Tra quest’ultime figura anche la terapia genica.
Tra il Seicento e la prima parte del Novecento l’autoesperimento è stata una pratica largamente diffusa, eticamente accetta e approvata dal punto di vista scientifico. Per comodità, curiosità, sfida, mancanza di alternative o per diventare il nome stampato sui libri di storia, scienziati e medici hanno usato questo approccio per sperimentare tecniche chirurgiche mai pensate prima, valutare gli effetti di farmaci e altre sostanze, indagare come funzionano le infezioni e scoprire nuove malattie. Se oggi la scienza si basa su studi clinici svolti secondo parametri precisi e rigorosi, e sul coinvolgimento di un numero congruo di persone per raggiungere un certo livello di standardizzazione, non molto tempo fa i dati venivano raccolti tramite l’osservazione di casi singoli (o poco più). Silvia Bencivelli - giornalista scientifica, autrice e conduttrice radiotelevisiva - accompagna il lettore in un viaggio nella storia della medicina, tra storie incredibili e divertenti e, a volte, inquietanti e sconvolgenti.
a cura di Anna Meldolesi
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