A una lettura superficiale potrebbe sembrare una notizia di quelle capaci di scuotere dalle fondamenta il castello della più promettente terapia avanzata giunta sul mercato negli ultimi anni. Numerosissimi elementi sono ancora in fase di valutazione per cui vale la regola d’oro della prudenza nelle affermazioni, soprattutto per rispetto dei tanti pazienti che hanno già ricevuto il trattamento e sono nelle fasi di monitoraggio da parte dei medici. Ma è impossibile ignorare come anche il New England Journal of Medicine, una delle più autorevoli riviste scientifiche di medicina, abbia dedicato ampio spazio all’indagine sul rischio che le terapie a base di cellule CAR-T possano essere causa dell’insorgenza di nuovi tumori nei pazienti a cui sono state somministrate. Tematica che OTA aveva già affrontato all’inizio dell’anno.
L’encefalopatia familiare con corpi d’inclusione di neuroserpina (FENIB) è una malattia neurodegenerativa rara e senza cura, dovuta all’accumulo di proteine tossiche nel cervello. A seconda della specifica mutazione che la causa può avere un esordio più o meno tardivo. Nel caso di Uditi Saraf, una ragazza indiana, i primi sintomi hanno iniziato a manifestarsi presto, a 9 anni di età. Vedendola peggiorare, i genitori hanno deciso di farne sequenziare il genoma, individuando il difetto genetico e diagnosticando la patologia. La loro corsa contro il tempo per cercare di salvare la figlia è stata raccontata in un articolo pubblicato lo scorso 12 giugno su Nature, che offre anche uno scorcio sugli sforzi dell’India per rendere più accessibili i trattamenti dell’era genomica.
Se le terapie avanzate potessero essere descritte come un gruppo coeso, magari come la nazionale di calcio o la pattuglia acrobatica italiana, ad ognuno degli elementi che le rappresenta sarebbe attribuito un ruolo definito perché in entrambi gli esempi alla base del successo si trova una fine ed elaborata forma di gerarchia. In certi settori è arduo ragionare in questa ottica ma, immaginando la terapia genica classica come il capitano della squadra e le CAR-T come un centravanti, potremmo pensare che le terapie cellulari come i linfociti T infiltranti il tumore (TIL) siano il trequartista, ovvero la figura che si colloca subito dietro l’attacco e guida il centrocampo. Oggi, infatti, i TIL si avviano a essere una realtà ma la storia di questi trattamenti dura da oltre cinquant’anni e il cammino verso il loro utilizzo in clinica non è stato affatto lineare.
Si potrebbe paragonare a una delle più rinomate vetrine della ricerca scientifica in campo oncologico, un po’ come sono i grandi saloni o le fiere che anticipano le future tendenze nel campo dell’arredamento, della moda o dell’automobile. È il meeting annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), che si è svolto due settimane fa a Chicago portando all’attenzione delle migliaia di partecipanti tutte le novità riguardo all’utilizzo di farmaci anticorpo-coniugati (in grado di conferire specificità ai trattamenti chemioterapici), all’immunoterapia e anche alle terapie a base di cellule CAR-T sia per i tumori solidi che per patologie onco-ematologiche resistenti alle attuali CAR-T presenti in commercio.
a cura di Anna Meldolesi
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