Un anno fa, sul portale di Osservatorio Terapie Avanzate era stato pubblicato un articolo che descriveva un innovativo approccio di medicina rigenerativa che avrebbe dovuto essere in grado di svegliare le cellule ciliate dormienti dell’orecchio umano. La terapia, chiamata FX-322, era in Fase II di sperimentazione clinica per verificarne efficacia e sicurezza. Frequency Therapeutics, spinout del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston (Stati Uniti) che stava lavorando al progetto, ha dovuto rinunciare al proseguimento degli studi clinici in questo ambito a causa dei risultati poco soddisfacenti ottenuti dalla sperimentazione. Infatti, lo studio su FX-322 non ha raggiunto gli obiettivi primari, non mostrando un miglioramento significativo nella percezione del parlato tra chi si era sottoposto al trattamento e chi aveva ricevuto il placebo.
La presenza in circolo di anticorpi specifici diretti contro i virus adeno-associati (AAV) - normalmente utilizzati come vettori - rappresenta un ostacolo all’applicazione della terapia genica e un limite che, negli ultimi anni, molti ricercatori hanno cercato di oltrepassare. Ha proprio questo scopo la neonata collaborazione tra la società biofarmaceutica svedese Hansa Biopharma e l’organizzazione no-profit francese Genethon, leader nella terapia genica e nello sviluppo di terapie avanzate e già attiva su questo fronte. I due colossi della ricerca per le malattie rare parteciperanno, in uno studio clinico, alla valutazione della sicurezza e dell'efficacia di imlifidase come trattamento preliminare alla somministrazione della terapia genica sperimentale GNT-0003 per la sindrome di Crigler-Najjar in pazienti con anticorpi neutralizzanti anti-AAV.
È impossibile non conoscere i nomi di James Watson e Francis Crick, due dei più famosi scienziati al mondo. Autori della scoperta del DNA, e vincitori del Premio Nobel per questo motivo (condiviso con il collega Maurice Wilkins), ebbero l’intuizione decisiva per comprendere la doppia elica quando a Watson fu mostrata una fotografia a raggi X della molecola. L’immagine era stata scattata nel laboratorio di Rosalind Franklin - biocristallografa che lavorava al King's College di Londra, allora diretto da Wilkins - e condivisa senza che lei ne fosse a conoscenza. Nota come “foto 51”, questa immagine è considerata una pietra miliare della biologia molecolare. La storia a tutti nota descrive una Franklin vittima del maschilismo che regnava incontrastato nel mondo della scienza, messa da parte (anche per il Premio Nobel) dai colleghi che avevano sfruttato i suoi dati senza il giusto riconoscimento. Ma è andata proprio così?
Protagonisti di un’abbondante fetta di spot pubblicitari di yogurt e prodotti caseari, i microrganismi che compongono il microbiota umano rappresentano uno dei più conosciuti esempi di simbiosi - e pertanto di coevoluzione - tra specie diverse. Nel solo intestino sono presenti oltre 4 mila specie di batteri capaci di influenzare numerose funzioni fisiologiche, dall’assorbimento dei nutrienti alla difesa dell’organismo fino al metabolismo di certi farmaci. Un fine equilibrio che, se perturbato, suscita malattie metaboliche o autoimmuni - fra cui il morbo di Crohn e la colite ulcerativa. Non stupisce quindi che un gruppo internazionale di ricercatori si sia interrogato sulle interazioni tra alcuni microrganismi residenti nell’intestino e la risposta ai trattamenti con cellule CAR-T. Le conclusioni del loro studio sono state pubblicate sulla prestigiosa rivista Nature Medicine.
a cura di Anna Meldolesi
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