Crispr-Cas, la “forbice molecolare” che permette di modificare i geni, si è evoluta nei batteri per aiutarli a proteggersi da virus patogeni. Nei prossimi anni, un altro sistema preso in prestito dai batteri potrebbe aiutarci a trasportare gli elementi del macchinario CRISPR dentro le cellule umane: una “siringa molecolare” che, attraverso un meccanismo contrattile e una proteina simile a un ago, può bucare la membrana cellulare e iniettare i composti al suo interno. I batteri simbiotici la usano per modificare la biologia dell’ospite o per rilasciare tossine. Gli scienziati, invece, potrebbero usarla per trasferire proteine terapeutiche nelle cellule umane, poiché le siringhe possono essere programmate per rilasciare il loro carico solo nell’organo bersaglio. Un articolo pubblicato a marzo su Nature fa il punto su questa nuova tecnologia.
Oct4, Sox2, Klf4 e cMyc. Per qualcuno queste sono sigle senza particolare significato, ma per i biologi costituiscono una celebre sequenza di proteine la cui scoperta è legata alla nascita delle cellule staminali pluripotenti indotte (iPSCs), insuperabili locomotrici del settore delle terapie cellulari. Queste quattro proteine - chiamate anche fattori di Yamanaka, prendendo il nome dal Premio Nobel giapponese che ne ha scoperto la funzione di riprogrammazione cellulare - rappresentano la battuta di partenza del processo di formazione delle iPSCs. Ma a guidare il percorso di differenziamento di queste cellule in neuroni, epatociti o in altre cellule delle linea germinale è uno specifico gene: si tratta di ESRRB, descritto in un articolo pubblicato ad aprile su Nature Cell Biology da un gruppo di ricerca coordinato dal prof. Graziano Martello, del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova.
Il dolore è il sistema d’allarme del nostro organismo: quando si trova di fronte a uno stimolo meccanico, termico o chimico che raggiunge un livello di intensità tale da essere pericoloso per l’organismo, l’allarme si attiva. Sebbene sia rodato da millenni di evoluzione umana, ogni tanto questo meccanismo fallisce e il segnale di dolore risulta indipendente da stimoli, diventando così cronico. Una situazione clinica spiacevole che colpisce circa il 20% delle persone in Europa (Fonte: European Pain Federation) e che, nonostante i progressi nella ricerca e l’evidente necessità, non ha ancora visto una soluzione terapeutica efficace e con pochi – o, magari, nulli – effetti collaterali. La terapia genica potrebbe in futuro offrire un’opportunità per la gestione del dolore cronico: su Nature Reviews Neuroscience è stata pubblicata una panoramica sul tema.
In un brano di parecchi anni fa Cesare Cremonini cantava che “gli uomini e le donne sono uguali”, alludendo a una fitta sequenza di atteggiamenti sociali, ma sotto il profilo della fisiologia emergono alcune sostanziali differenze. In ambito cardiovascolare ciò si traduce in uno sbilanciamento di mortalità dopo infarto miocardico acuto nelle donne rispetto agli uomini. Ma il cuore potrebbe essere sede di altre differenze, come quelle legate al maggior numero di miocarditi che sembrano colpire le donne dopo terapia con inibitori dei checkpoint immunitari. Un’interessante ricerca pubblicata sulla rivista Science Translational Medicine sembra però in grado di fornire una spiegazione a questa anomalia.
a cura di Anna Meldolesi
Website by Digitest.net