Il 15 maggio è il MPS Awareness Day, che quest’anno ha il motto #ChaseTheSigns. Riconoscere i segni e i sintomi delle mucopolisaccaridosi (MPS) può, infatti, migliorare notevolmente la diagnosi, la gestione dei bambini affetti da MPS e le tempistiche di somministrazione delle terapie attualmente disponibili. Le terapie avanzate sono in prima linea anche nella ricerca sulle MPS: dalla terapia genica all’editing genomico. Tra i diversi trial in corso, il gruppo di ricerca dell’SR-Tiget - coordinato da Alessandro Aiuti - sta studiando la terapia genica per la forma più grave della mucopolisaccaridosi di tipo 1H. Per la prima volta per questa malattia, la terapia genica viene sperimentata sull’uomo e, stando ai dati attualmente disponibili, il profilo di sicurezza del trattamento è molto buono. Per quanto riguarda l’efficacia, è necessario attendere e avere un follow up dei pazienti a medio-lungo termine.
I trattamenti non autorizzati a base di cellule staminali fanno capolino anche nell’emergenza sanitaria: a circa due mesi dalla dichiarazione di pandemia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono molteplici le aziende americane che stanno approfittando della situazione disperata per venderle a caro prezzo. Molte cliniche hanno una storia di vendite di questa tipologia di prodotto e, da quando è arrivata la COVID-19, si sono adeguate alle nuove esigenze di mercato, pur mancando le prove scientifiche a sostegno del loro utilizzo. Restando in tema bioetico, sta diventando virale il dibattito legato all’epidemiologia digitale - cioè l’utilizzo di dati generati al di fuori del sistema sanitario pubblico per la sorveglianza delle malattie – soprattutto per quanto riguarda l’omogeneità dell’applicazione delle tecnologie digitali e per la privacy.
La pandemia ha dimostrato che i classici tamponi basati sulla reazione a catena della polimerasi (PCR) non bastano più. Rappresentano il golden standard della diagnostica ma richiedono reagenti difficili da reperire durante un’emergenza globale come questa, macchinari costosi, competenze specialistiche e troppo tempo per l’esecuzione. Il futuro del settore diagnostico è nei test rapidi, possibilmente da fare anche a casa e auspicabilmente in multiplex. A che punto è la transizione? La velocità è un requisito ormai a portata di mano, al traguardo dell’home-testing si sta lavorando e la fattibilità di chip capaci di eseguire simultaneamente centinaia di test diversi è già stata dimostrata in laboratorio.
La carta d’identità di SARS-CoV-2, che da quello che sappiamo oggi ha cominciato a circolare nell’uomo a fine 2019, si va via via completando man mano che crescono gli studi (siamo giunti a oltre quattromila pubblicazioni in materia) su questo nuovo Coronavirus. Tra le informazioni su cui quasi nessuno ormai ha più dubbi c’è quella relativa alla porta d’ingresso del virus nel nostro organismo: si tratta del recettore ACE2, abbondantemente espresso nelle cellule alveolari (pneumociti) di tipo 2 e nelle cellule ciliate presenti a livello dell’epitelio polmonare, questo spiega la forte dominanza della componente respiratoria nei sintomi della COVID-19. Ma le cellule che SARS-CoV-2 è in grado di infettare e gli organi che può colpire sono ben di più e tra questi l’intestino.
a cura di Anna Meldolesi
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